Ghostbusters: minaccia glaciale, la recensione

Ritornato a New York Ghostbusters: Frozen Empire è un film acquietato che cambia target mentre replica i punti chiave del primo

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Ghostbusters: minaccia glaciale, il secondo film del nuovo franchise dei Ghostbusters in uscita in sala l'11 aprile

C’è un cortocircuito tutto interno e metacinematografico nel fatto che i due film usciti fino a ora nel nuovo franchise di Ghostbusters sono ogni volta dedicati a dei morti diversi. Apparizioni a loro modo fantasmatiche, in certi casi effettivamente fantasmi (come Harold Ramis nel precedente). Deceduti nel mondo reale, fantasmi sullo schermo in un film sui fantasmi, rievocati dai cartelli finali. Ci fossero stati degli sceneggiatori che nel metacinema ci sguazzano come Phil Lord e Chris Miller magari questa sarebbe stata una chiave per il film, ma non è il caso di Ghotsbusters: minaccia glaciale, che invece è un sequel che tende a normalizzare tutto quello che il newquel Ghostbusters: Legacy smuoveva.

I nuovi acchiappafantasmi sono tornati dove operavano i vecchi acchiappafantasmi, a New York, con la vecchia stazione dei pompieri come quartier generale, foraggiati da Winston Zeddmore, ora diventato filantropo. Sono una famiglia con i problemi delle famiglie che scorrazza con la Ecto-1 dando la caccia ad ectoplasmi. Qualcuno ha però risvegliato una potente forza dal passato e per evitare il completo congelamento del mondo, grandi e piccini, adulti e bambini, dovranno incrociare i flussi.

Questa più o meno la sinossi di un film per famiglie tratto da Ghostbusters, uno di quelli in cui i personaggi dicono “Fudge!” per non dire “Fuck!”, come farebbe un genitore responsabile, e in cui la finalità dell’impresa che acchiappa i fantasmi è di superare i problemi di crescita dei ragazzi e tenere unita la famiglia. È proprio il contrario di quello che era il film originale, in cui l’obiettivo dei protagonisti era da una parte fare impresa, fare soldi e svincolarsi dal perdente settore pubblico universitario, dall’altra portarsi a letto Sigourney Weaver. 

E per quanto Ghostbusters: minaccia glaciale non sia diretto male, è totalmente derivativo, si appoggia sullo score che cuce insieme i momenti di commedia per rimanere in piedi, copia per bene la trama del primo film, ricalcandone i punti salienti e alcuni personaggi chiave, e fa nostalgia non più con la library di effetti sonori e con gli oggetti (come faceva il film precedente) ma con gli attori comprimari (e in certi casi i fantasmi comprimari) del primo. Più che un film fatto bene, è fan service fatto abbastanza bene, che riprende in modi corretti sia l’ambientazione che le interazioni tra i 3 acchiappafantasmi storici (interpretati dagli attori originali). L’impressione è che siano proprio loro, per quanto Winston Zeddmore abbia una centralità che prima non aveva. È semmai il mondo intorno a loro ad aver subito la mutazione che ha subito una parte del cinema d’incasso americano: si è infantilizzato, annacquato e schiacciato su dinamiche rassicuranti e comuni.

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