Ghostbusters: Legacy, la recensione

Scartando New York per la provincia Ghostbusters: Legacy cambia scala e quindi genere ma ottiene il massimo risultato possibile

Critico e giornalista cinematografico


Condividi
Lungo la visione di Ghostbusters: Legacy potrebbe esplodervi lo spielbergometro più volte. Di tutti i film che in questi ultimi anni hanno cercato di trovare quel mix e quell’equilibrio di leggerezza, avventura, divertimento e un po’ di paura che caratterizzava molti film Amblin, questo è l’unico che può dire senza timore di esserci riuscito. Non era forse l’intenzione originale nel produrre un terzo film della saga Ghostbusters (che di spielberghiano non aveva niente), ma è quello che è successo mettendo insieme idee, soggetti ed esperienza di Ivan Reitman (regista di grandi film mainstream) con esperienza, mano e sensibilità di Jason Reitman (regista di film indie) che poi il film l’ha effettivamente diretto. E meno male.

Già l’inizio, una sorta di prologo, dichiara quello che tutti aspettano di sentirsi dire: che questo film sa qual è lo spirito di Ghostbusters, lo conosce, lo sa replicare e ci vuole giocare. Che i personaggi degli altri film non sono ignorati e che siamo qui per un’operazione nostalgia, un film con i mostri analogici (o almeno molti mostri analogici) ed espedienti dolcemente demodè come il fumo. Il resto del minutaggio non farà che costruire su questo, mettendo insieme una macchina del tempo filmica che una volta tanto convince, non pare usurata, fa tantissimo fan service ma (incredibile) lo fa con garbo e senza che questo peggiori la trama. Forse, a voler essere puntigliosi, la presenza già nota ed annunciata degli attori originali è la parte più debole, quella che cede di più alla nostalgia semplice e che sembra ragionare con il senso del dovere (cosa è necessario che dicano, come è necessario che si comportino) più che con l’ambizione di fare un film autonomo.

Questa è la storia di una famiglia che durante l’estate si trasferisce in un luogo di provincia (arrivati nel quale il telefono non prende come segno di arretratezza, nemmeno fossimo in una commedia italiana!) e lì trova un retaggio e un’avventura a cui credono solo i ragazzi. La maniera in cui il film li tratta e li guarda, in cui li sceglie e li fa recitare, e ancora i caratteri e le missioni che gli assegna sono di una maturità narrativa e umana che rende impossibile cadere nelle trappole del cattivo uso dei minori. Anzi! Mackenzie Grace, che tra tutti è la più protagonista, è una vera scoperta. Un’attrice con un curriculum molto grosso che qui però è davvero messa in luce, riuscendo ad essere tre cose: simpatica, antipatica ed Egon Spengler. Tutto insieme, uno sopra l’altro fino a che non si distinguono più.

Con uno score che pare composto dall’Alan Silvestri degli anni ‘80, un’epica avventurosa di provincia commovente, rischi di fine del mondo e flussi da incrociare, Ghostbusters: Legacy avrà anche cambiato pelle e location, ma non la maniera in cui fa sentire il pubblico. New York era un elemento determinante di quei film, levarla vuol dire levare i newyorchesi e il rapporto disilluso con la vita che si respira intorno ai protagonisti, cioè cambiare il rapporto con il paesaggio e quindi il tono. E infatti è diverso. Ma questo segna anche il passaggio da un film mainstream ad uno che flirta con l’indie, che cerca la location piccola e la storia familiare, che invece di essere il fratello minore di Ghostbusters vuole esserne il cugino di campagna, forse un po’ più rozzo e succube ma non per questo meno divertente da frequentare.

Continua a leggere su BadTaste