Geostorm, la recensione

Completamente derivativo e fondato sul concetto stesso di cliché, Geostorm, se preso per il verso giusto, non può non divertire

Critico e giornalista cinematografico


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Non ci si può non divertire con Geostorm, a patto di prenderlo per il verso giusto.
Questa specie di spin-off di un qualsiasi catastrofico di Roland Emmerich (il regista e sceneggiatore Dean Devlin è un suo storico collaboratore), dotato di tutti i crismi e dell’ossessione per il mondialismo e la pornografia della distruzione dei luoghi più riconoscibili propria del regista tedesco, mette tutti e due i suoi piedi nell’autoparodia quasi subito, mandando ben presto in vacca qualsiasi vaga credibilità, quando mostra di ambire ad un’impossibile copia del cinema di Michael Bay e della sua epica. Ma invece che farne una versione dei poveri, Geostorm amplia il parco delle sue ispirazioni e incorpora sequenze di suspense in camminata nello spazio in stile Gravity al pari di momenti da attacco al presidente e raggiunge uno zenith tanto scemo quanto equilibrato.

Che Devlin punti ad un pubblico mondiale lo si vede subito da come è immaginata la stazione spaziale che, in un futuro prossimo, controlla e tiene a bada il meteo mondiale, così da evitare gli sconvolgimenti provocati dall’incuria umana. Ci sono francesi, tedeschi, cinesi, indiani, africani e gli eroi, al servizio degli Stati Uniti, sono due britannici, due fratelli, uno nello spazio (lo scienziato) e uno a Terra (il politico).
Tuttavia, siccome siamo in un film che pare scritto da Emmerich e diretto da Bay lo scienziato è un ribelle che ama menare le mani e insubordinarsi all’autorità, cacciato dalla stazione che egli stesso ha inventato ma richiamato in servizio quando pare che qualcuno la stia manomettendo causando morti a mezzo climatico.

Geostorm bada bene a non mancare nemmeno un cliché del caso, andando a parare ben presti dalle parti del complotto in cui è coinvolto il presidente degli Stati Uniti (per gli amanti delle statistiche e dei dati, questa volta è Andy Garcia, terzo presidente sotto cui serve Gerard Butler).
Eppure Devlin è così dedito alla propria assurda epica, è così fedele e appassionato delle sue svolte telefonate, delle lacrime tra fratelli, dei colpi di scena incredibili, dei ritorni e dei salvataggi all’ultimo secondo e del titanismo delle sue scene (in cui tutto è sempre più grande e pericoloso, sempre di più!) che è davvero difficile considerare i palesi difetti del film tali.

A braccetto con il fantastico e sempre pronto a farsi una risata rispetto a quello che sta mettendo in scena, Geostorm è davvero quel che il titolo promette: un B movie della Asylum in grande stile, messo in riga da una messa in scena ordinata, da recitazione accettabile per un catastrofico, da effetti digitali di livello e una scansione della sceneggiatura tanto usuale quanto corretta e impeccabile. Invece di correre senza un perché in tutte le direzioni come avrebbe fatto la Asylum con la medesima trama, Devlin si prende (più o meno) il suo tempo e raggiunge quasi gli stessi obiettivi, cioè l’intrattenimento autoironico spensierato, stendendo un velo di presentabilità che vale a Geostorm il posto che occupa nel salotto buono del cinema di serie A nonostante in esso batta un cuore di serie C.

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