Come un Gatto in Tangenziale, la recensione

Su un tema più che abusato, le differenze tra benestanti sofisticati e veraci proletari, Come un Gatto in Tangenziale, crea un mondo davvero divertente che ha qualcosa da dire

Critico e giornalista cinematografico


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La carriera di Paola Cortellesi (al cinema) è cambiata nel 2014 con Scusate Se Esisto. Lì per la prima volta ha smesso di interpretare i ruoli delle commedie cui partecipava e ha cominciato ad interpretare ruoli che aveva scritto in prima persona. La differenza si è sentita immediatamente. La consueta storia di fuga dei cervelli rientrati e precariato ingiusto sembrava subito meno consueta, non tanto per una regia diversa o una concezione particolare, né per una trama più sofisticata del solito, ma perché la risata presupponeva sempre un pensiero dietro o era finalizzata a generarne uno.
Da sempre interprete sveglia e ricettiva, capace di replicare se stessa solo raramente ma adattarsi ed evolversi, Paola Cortellesi è qui al quinto film con il marito Riccardo Milani.

Una commedia che ha quella dote che hanno pochissime commedie italiane contemporanee: fa ridereQuella di Come un Gatto in Tangenziale è quasi la stessa squadra del remake Mamma o Papà?, i due si riuniscono ai medesimi sceneggiatori e ad Antonio Albanese. Il risultato è di nuovo una commedia che ha quella dote che hanno pochissime commedie italiane contemporanee: fa ridere. Da quando Paola Cortellesi ha iniziato a partecipare alle sceneggiature dei suoi film infatti finalmente si ride davvero. Talmente è raro in una commedia italiana la risata che questa “novità” è più clamorosa anche prima del fatto che sia una risata con un senso. Come Un Gatto In Tangenziale è infatti un film in tutto e per tutto usuale e talmente poco originale nei presupposti che Paola Cortellesi l'aveva già interpretato un personaggio dalla parabola simile e contraria in Nessuno Mi Può Giudicare, eppure è anche innegabilmente riuscito.

Conflitto di classe contemporaneo, storie di estremi che si toccano e di contaminazione tra centro e periferia. Per colpa dei figli tredicenni che si sono messi insieme, il padre di lei, intellettuale molto benestante ed educato che lavora in un think tank, deve frequentare la madre di lui, sguaiata operatrice in una mensa per anziani che vive in un quartiere malfamato. I due si odiano subito per le differenze di approccio alla vita e per ostilità di classe, entrambi sono preoccupati per il destino dei figli ma devono l’uno frequentare posti e conoscenze dell’altro. In modo molto intelligente però quando i figli sembrano andare daccordo i genitori si accapiglieranno, invece quando la storia dei ragazzi finirà senza clamori, senza un perché e senza botti, i due sembreranno aver sviluppato un rapporto.

Quel che fa la differenza qui non è di certo l’impianto o l’audacia degli assunti, è semmai la maniera in cui attorno a questi due personaggi tipici del cinema italiano venga creato un mondo impeccabile. Con tantissimi comprimari che si avvicendano, Come Un Gatto In Tangenziale crea una galleria di caratteristi comici fortissimi (il più debole è l’unico che non è un caratterista, Claudio Amendola) e a tratti proprio esilarante a partire da una coppia di zie gemelle, malate di shopping compulsivo, dotate di una comicità irresistibile mai vista prima, che viene anche solo dal tono di voce). Sono loro, i comprimari, ad animare tutto. In un film in cui i personaggi si scontrano a causa dei diversi mondi da cui provengono, proprio questi mondi sono la parte più interessante.

Siamo di fronte ad un film indubbiamente piccolo, commedia realmente leggera e dalle ambizioni limitate, che tuttavia (anche per questo) le raggiunge e forse in certi momenti le supera. Il livore e l’odio che vediamo tra italiani, stranieri, benestanti, indigenti, parenti e carcerati raggiunge un punto di saturazione tale da dare per pochi attimi un’idea della vita in una città moderna da Spike Lee: persone diverse da provenienze diverse che convivono in un equilibrio fatto di un inevitabile e continuo conflitto, uno che non porta necessariamente ad una guerra ma che tiene tutto in piedi, che non chiede di essere superato ma sembra essere stato accettato per rassegnazione, rassegnati ad odiarsi.

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