Il gatto con gli stivali 2 - L'ultimo desiderio, la recensione

Avventuroso, rapido, divertente e ossessionato dalla morte Il gatto con gli stivali 2 è molto migliore del primo film

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Il gatto con gli stivali 2 - L'ultimo desiderio, al cinema dal 7 dicembre

Non esiste un modo solo di morire. C’è la morte fisica, quella del corpo che cessa ogni funzione, e poi c’è un altro tipo di morte, una che avviene in vita: la morte interiore. Morire dentro rinunciando a quello che si è, alla propria natura più intima. Il Gatto Con Gli Stivali lungo una vita di avventure è morto 8 volte, gli rimane quindi solo una delle sue 9 vite da vivere, è alla fine della corsa e per la prima volta è spaventato. Ha paura che la morte lo prenda davvero (e in una grande trovata la morte, personificata in un lupo, lo segue effettivamente, è dietro di lui ad ogni passo). Sceglie così di nascondersi, sceglie una vita sedentaria da “gatto da grembo” nella casa di una gattara piena di altri animali che non parlano nemmeno (come lui) sono la sua versione abbrutita, primitiva e privata della dignità da una vita tutta cibo per gatti e bisogni dentro una lettiera. In breve il Gatto muore dentro, si lascia andare fino ad essere solo un’ombra del mito che è stato. 

È lo spunto che mette in moto una nuova avventura, ma è anche il momento più bello (per certi versi anche più divertente) di Il gatto con gli stivali 2. Ed è bello proprio che stia in un cartone animato, cioè che tra le cose che racconta questo film ci sia anche l’idea che vivere conservativamente, cioè vivere per non morire, non sia una vera vita, sia solo un altro tipo di morte. Per completare la storia al gatto verrà affiancato il più classico dei personaggi da sequel, qualcuno come lui con cui fare coppia e stabilire una relazione (una gatta avventuriera dal suo passato, Zampe di Velluto) e una spalla comica. Questa banda andrà in cerca di una stella magica che fa avverare un desiderio, ognuno ha il proprio (il gatto rivuole le 9 vite) inclusi i villain Little Jack Horner e Riccioli d’oro con i tre orsi (ben caratterizzati ma in italiano doppiati in dialetto).

Negli 11 anni passati tra il primo film dedicato al personaggio e questo l’animazione è cambiata e ora Il Gatto con gli stivali 2 non è piegato sui soliti standard dei cartoni in computer grafica ma dissimula la sua natura tridimensionale con uno stile molto bidimensionale, tratteggia i personaggi con dei colpi di pennello in evidenza (come fossero dipinti) e soprattutto li anima con creatività, scambiando un po’ di fluidità con un po’ di imperfezioni e stile. Come quando nelle sequenze più epiche applica un effetto da frame rate più basso associato a linee cinetiche da fumetto, che conferiscono al tutto un feeling quasi da anime.

Tutto contribuisce ad un grande senso di avventura, molto superiore a quello del primo film, come sempre contaminato da molto umorismo e un certo passo svelto apprezzabilissimo. Le vecchie fissazioni della Dreamworks dei tempi di Shrek (come le canzoni rock) tornano ma con moderazione, stavolta è soprattutto la scrittura a farsi notare. L’avventura è scritta con passione da Paul Fisher (e Antonio Banderas la interpreta con vero ardore, anche in italiano , così che il Gatto ne esca come un personaggio titanico senza bisogno di essere fastidiosamente carico di boria (come potrebbe sembrare dalla prima lunga sequenza). Una volta tanto c’è una vera costruzione del carattere prima che tutto sia messo in discussione da un intreccio che si risolve in modi convenzionali, e la differenza si sente. Questa è una storia memorabile.

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