Game of Thrones 4x03 "Breaker of Chains": la recensione
Puntata poco riuscita per Game of Thrones, che arranca dopo gli eventi della scorsa settimana
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Ad Approdo del Re, giustamente, viene dedicata la maggior parte del minutaggio. Alle sue falsità, tradimenti, malignità, alla stridente necessità di tornare a pensare al futuro e al regno nonostante l'improvvisa morte del re. Tywin Lannister incarna bene questo sentimento nell'istruire e interrogare l'unico nipote rimastogli, Tommen, nuovo re sul Trono di Spade per diritto di successione. Santità, giustizia, forza, tutti attributi fondamentali per un buon monarca, ma è la saggezza a garantire una pace duratura e soprattutto a mantenere in vita un sovrano. Fiducia nei propri punti di forza, ma anche l'umiltà di riconoscere le proprie debolezze, quella che mancava ad Aerys, a Robert, a Joffrey, e che li ha portati tutti a morire prima del tempo. Quella che invece potrebbe avere Tommen, al momento solo un ragazzino, forse non esperto né dal pugno di ferro, ma abbastanza saggio da rappresentare, per tutti, un'alternativa migliore rispetto al fratello morto. La scena che si compie di fronte al cadavere ancora fresco di Joffrey si basa su un dialogo troppo artificioso, ma è riuscita: è carica di tensione ed alimentata anche dalla sommessa sofferenza di Cersei.
Anche in questo caso tuttavia la sola presenza di Tywin, che entra in scena dopo, restituisce al momento un po' di interesse. Dopo le velate accuse della settimana scorsa, si esce finalmente allo scoperto. Scopriamo che Tywin è a conoscenza delle minacce che da nord (i bruti), da ovest (i Greyjoy) e da est (Daenerys e i draghi) stanno per abbattersi sul continente, e vede nell'alleanza con i dorniani un mezzo per consolidare il potere della corona. Oberyn, insieme allo stesso Tywin e a Mace Tyrell, sarà uno dei tre giudici al processo di Tyrion. A proposito del Folletto, lo vediamo solo in una scena, ma la sua frustrazione, quasi rassegnazione, emerge pienamente in un bel confronto con lo scudiero Pod, praticamente l'unica figura ad essergli rimasta vicina al mondo (forse anche Jaime, ma lo scopriremo presto). Se Tyrion appare evidentemente estraneo all'accusa di regicidio, ancora il mistero non è del tutto svelato. Certo, il fatto che Sansa sia stata immediatamente portata lontano da Ser Dontos, su ordine di Ditocorto, il quale, nonostante fosse lontano, era già a conoscenza degli eventi, dovrebbe far suonare qualche campanello d'allarme.
La passerella finale è, come spesso avviene, per Daenerys. Meereen, dopo Astapor e Yunkai, è l'ultima città degli schiavisti, e la Madre dei Draghi è ben decisa a farle subire la stessa sorte delle precedenti. Per farlo non può attaccarla direttamente – non è nei suoi scopi – ma deve persuadere gli stessi schiavi a ribellarsi. L'episodio si conclude all'improvviso, nel mezzo del climax. È una scelta che può sorprendere, ma che funziona, anche perché di azione ne avevamo già avuta in precedenza nello scontro tra il campione di Meeren e Daario Naharis. Ora è più evidente: il recasting del personaggio ha comportato anche una sua parziale riscrittura, da figura brutale legata solo allo scontro a personaggio più sottile e affascinante (un fascino che ha un evidente effetto su Daenerys). L'unico elemento in comune è l'antipatia per il personaggio.
Breaker of Chains – il riferimento è ovviamente a Daenerys – non è un buon episodio. Vince in alcuni scambi tra personaggi, nelle sempre imponenti scene con Daenerys, nelle ottime interpretazioni di alcuni personaggi (a questo giro Peter Dinklage e Maisie Williams sono i migliori, ma anche il sottovalutato Charles Dance), ma al tempo stesso soffre di alcuni brutti cali di ritmo, e per più di metà della sua durata non offre dei momenti all'altezza della serie.