Game of Thrones 4x01 "Two Swords": la recensione

Il primo episodio della quarta stagione di Game of Thrones introduce nuovi personaggi e ci riporta nella storia

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La figura di Tywin Lannister emerge silenziosa in una fornace della Fortezza Rossa, affogata tra fumo e fiamme. Una spada enorme, quella appartenuta al defunto Ned Stark, viene impietosamente fusa e dal prezioso acciaio di Valyria di cui è composta vengono forgiate due nuove lame più piccole. Si alzano le note malinconiche di Rains of Castamere, mentre l'attuale Primo Cavaliere si avvicina alle fiamme e vi getta dentro la pelle di un lupo, custodia dello spadone. L'uomo sorride. E guardando queste poche immagini che introducono la quarta stagione della serie non si può far altro che pensare che Game of Thrones in fondo sia tutto qui. Il fuoco e il "ghiaccio" (anche se qui rappresentato solo dal particolare nome della spada di Ned Stark), la morte e il potere, la brutalità e la sopraffazione, ma anche la rappresentazione simbolica della narrazione nella serie. Una serie in cui da ogni fiume di acciaio fuso si originano almeno altri due canali incandescenti, in cui ogni storia confluisce in altre e altre ancora, espandendo senza limite la vicenda.

E reimmergersi in tutti questi fiumi che sfociano nel grande mare della serie è un'esperienza per certi versi traumatica per lo spettatore, ma sotto altri aspetti ormai familiare. Two Swords, primo episodio della stagione, ha molto prevedibilmente il compito di riprendere le fila del discorso, o almeno di parte di esse, introdurre nuovi personaggi, nuove motivazioni, nuovi ingranaggi nei grandi meccanismi che da quattro anni vediamo prendere vita nella sempre bellissima opening della serie. Proprio dalla sigla ripartiamo questo viaggio, e notiamo che apparentemente poco è mutato. Approdo del Re è sempre presente, così come la grande Barriera e il fumo che si alza da Grande Inverno. Solo la presenza di Forte Terrore (Dreadfort, roccaforte dei Bolton) e la lontana città di Meeren ci suggeriscono che qualcosa è mutato. Ma è solo un'impressione: avvicinandoci scopriamo che poche cose sono rimaste uguali.

"Something's changed"/"Everything's changed!"

La citazione è tratta da un dialogo tra Jaime (Nikolaj Coster-Waldau) e Cersei (Lena Headey), nel quale il primo vorrebbe riavvicinarsi alla sorella/amante, ma la seconda lo respinge, accusandolo ingiustamente di averla abbandonata alla guerra e alla solitudine. Emerge la figura da sempre instabile di Cersei, accecata dall'amore per il figlio maggiore, verso il quale si è sempre mantenuta iperprotettiva, contro nemici reali (la guerra) o presunti (Margaery Tyrell), ma anche paranoica, egoista e poco lungimirante. Il bicchiere di vino che tiene in mano – e che ci viene prontamente fatto notare – è solo un suggerimento visivo utile a costruire una rappresentazione del personaggio che ben conosciamo. La vera sorpresa è Jaime. Sotto l'armatura e il mantello bianco della Guardia Reale non è rimasto nulla dell'uomo con la folta chioma bionda che tutti nella prima stagione accostavano ad Azzurro di Shrek, lo stesso uomo che nel primo episodio gettava un bambino da una torre. È evidente che nell'aspro viaggio attraverso Westeros in compagnia di Brienne (Gwendoline Christie) l'uomo non ha perso solo la mano, ma anche qualcos'altro. È una figura spezzata, solitaria, che rinuncia al titolo, al castello, alla famiglia, che viene ripudiata dal padre, scacciata dalla sorella, umiliata dal proprio figlio, che chiude il volume sulle gesta dei grandi cavalieri con l'unica mano che gli è rimasta. Il percorso di Jaime rimane uno dei più interessanti raccontati dalla serie.

"Tell your father I'm here. Tell him the Lannisters aren't the only ones who pay their debts"

Intanto fervono i preparativi per il matrimonio tra Joffrey e Margaery. Se in un confronto tra la sposa e sua nonna Olenna (Diana Rigg) scopriamo che i timori per la brutalità di Joffrey non si sono placati, a tenere banco sono soprattutto i nuovi arrivi nella capitale dei Sette Regni. I Martell, finalmente. Dopo quattro stagioni, dopo averli sentiti nominare solo di sfuggita (Dorne è il luogo dove è stata inviata Myrcella, figlia di Cersei), conosciamo alcuni membri dell'ultima delle Grandi Case. Ed è un incontro decisamente fulminante. Quello dedicato a Oberyn Martell (Pedro Pascal), fratello del principe di Dorne, e alla sua sposa Ellaria Sand (Indira Varma) è uno dei segmenti con il maggior minutaggio nel corso della puntata. Conosciamo questi personaggi, le loro motivazioni, e di riflesso anche l'intera impostazione del popolo alle loro spalle. Un popolo che appare fiero, dalla pelle bruciata dal sole, che non presta particolare importanza ai convenevoli e che ha un conto in sospeso con i Lannister. Un incontro ufficiale disertato, una visita al bordello della città, uno po' di gratuito spargimento di sangue: siamo decisamente lontani, e non solo come latitudini, dagli Stark del Nord. Dopo tutte queste premesse, la situazione viene in parte svelata in un incontro tra Tyrion (Peter Dinklage) e Oberyn: molti anni prima, la Montagna (Gregor Clegane, fratello del Mastino), violentò e fece a pezzi Elia, sorella di Oberyn e sposa di Rhaegar Targaryen (ricordiamo che la guerra che portò alla caduta dei Targaryen ha origine dal rapimento di Lyanna Stark da parte proprio di Rhaegar).

Ultimo segmento degno di nota nella Capitale è quello del "triangolo" (sembra assurdo definirlo così) tra Tyrion, Shae e Sansa. Si tratta della peggior storyline dell'episodio. Se da un lato la sofferenza di Sansa (Sophie Turner), che ha appreso delle Nozze Rosse, e il tentativo di consolarla del Folletto danno vita ad uno scambio sincero, pacato, una volta tanto libero da quella zavorra di menzogne, falsità e risentimento nella quale sono annegate tutte la altre situazioni, è la gelosia di Shae (Sibel Kekilli) a non funzionare. Già nella terza stagione aveva dato vita agli scambi meno memorabili dell'annata, e quest'anno la situazione si ripropone. Di fronte a queste scaramucce da pseudoinnamorati manca la sottigliezza e la tensione di altre situazioni ben più interessanti. Con così tanto minutaggio dedicato, forse ci prepariamo ad un momento nel quale questa piccola situazione potrebbe imporsi sulla trama più grande, e francamente temiamo quel momento.

Rimandando alla prossima settimana – forse – la trattazione degli altri mille personaggi in scena, le vicende a Westeros si concludono mostrando ancora una volta, in una sorta di versione estesa di una situazione di Mhysa, l'azione congiunta del Mastino e di Arya. È una scena che, salvo accorciare la lista dei nomi dell'odio, non aggiunge nulla alla vicenda ed è abbastanza prevedibile nel suo svolgimento, ma funziona comunque bene. Arya rimane uno dei grandi personaggi della saga, uno di quei pochi "buoni" che ci piace seguire perché non ha paura di sporcarsi le mani. Maisie Williams ormai costruisce giochi di sguardi, tensioni, situazioni con il pilota automatico, ed è sempre un piacere vederla in scena, sia che si lamenti perché vuole un cavallo, sia che infilzi un nemico alla gola.

Immancabili, per quanto in questo caso davvero riepilogativi, i due nuclei lontani della storia, quello alla Barriera e quello nel continente di Essos. Mentre Tormund e Ygritte si incontrano con i cannibali Thenn, che vanno a rinforzare, con la loro brutalità e il loro numero, l'enorme esercito di Mance Rayder, Jon Snow (Kit Harington, più espressivo del solito) gioca d'attacco di fronte al consiglio dei Guardiani della Notte che deve giudicare i suoi crimini. Sebbene Janos Slynt (che venne mandato alla Barriera nel corso della seconda stagione da Tyrion) e Alliser Thorne propendano per la colpevolezza, una parola del vecchio Aemon, e la consapevolezza di trovarsi di fronte ad un pericolo maggiore, bloccano per il momento l'esecuzione. Non molto da dire per il momento, se non che l'eccessiva disumanità dei Thenn (quasi fuoriluogo rispetto alla zona grigia in cui si trovano tutti i personaggi della serie) convince di meno della più comprensibile disperazione e rabbia del Popolo Libero.

Dulcis in fundo, ecco Daenerys, Madre dei Draghi, Nata dalla Tempesta e tutto il resto della formula di rito. Daenerys (Emilia Clarke) significa anche draghi, lucertole sputafuoco volanti mai tanto minacciose come ora, forse capaci di affezionarsi, talvolta di obbedire, ma mai addomesticabili. La scena con i draghi che introduce il suo segmento è, oltre a questo, anche il simbolo stesso della spettacolarità e della grandezza produttiva raggiunta della serie. Il viaggio da Yunkai a Meeren nella baia degli schiavisti viene intanto scandito dai servi uccisi e disseminati lungo il cammino, una circostanza che non fa altro che accrescere la rabbia della regina. Anche in questo caso non c'è molto da sottolineare, al di fuori del recasting di Daario Naharis. Ed Skrein è stato sostituito da Michiel Huisman e, nonostante il nuovo attore abbia la barba, esattamente come la sua controparte cartacea (piccola particolarità: nei romanzi Daario ha la barba blu, per fortuna particolare tralasciato dalla serie), sembra sia cambiato qualcosa anche in modo più profondo nell'indole del personaggio. Dove Skrein prestava il fisico ad un barbaro violento, rude e diretto, Huisman sembra costruire un personaggio più affascinante, che dona fiori e si esprime in modo più sottile. Da questo punto di vista la prima versione del personaggio era assolutamente più vicina a quella dei romanzi, mentre in questo caso sembra che la scrittura della serie si sia presa più libertà.

Two Swords è semplicemente il ritorno che ci aspettavamo. Un episodio di rodaggio, che ci ricorda dove eravamo arrivati e ci lancia alcuni spunti su dove stiamo andando. Imperfetto sicuramente, fiacco nei suoi momenti peggiori, affascinante in quelli migliori, ma sicuramente in grado di portare la storia ad un livello superiore nelle puntate a seguire. Ritorna Game of Thrones, ritorna quello che, pregi e difetti, è il più importante fenomeno televisivo degli ultimi anni, e come al solito sarà un piacere seguirlo.

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