Game of Thrones 6x10 "The Winds of Winter" (season finale): la recensione

Spettacolare, emozionante, tesissimo. L'ultimo episodio della sesta stagione di Game of Thrones ci ricorda come la serie ha già cambiato la storia della televisione

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Spoiler Alert
Winter is here.

Le stagioni cambiano, l'inverno arriva, e lo storico motto degli Stark non ha mai avuto solo un senso letterale. Preannuncia immani cambiamenti nello stato delle cose, nell'ordine degli eventi, l'illusione del controllo in un mondo dominato dal caos. Tutto crolla perché nulla sfugge alla legge del tempo: le Casate che marciscono come rami secchi, le barriere, anche quelle fatte di ghiaccio impenetrabile, che iniziano a incrinarsi, i legami familiari più stretti che vengono messi di fronte alla prova più dura. Cosa rimane? La bellezza, in alcuni rari e per questo preziosi momenti. E le grandi storie, quelle spaventose, enormi e meravigliose, che ci accompagnano per tutta la vita. Game of Thrones è una di queste, e nel season finale si impone ancora con orgoglio come una delle poche serie che hanno cambiato per sempre la tv.

In quella che è la puntata più lunga della storia della serie, c'è l'ottima idea di raccontare il blocco di Approdo del Re senza interruzioni e deviazioni. Si tratta di circa venti minuti in cui il fantasy veste i panni del thriller, costruendo una tensione crescente e palpabile. Il processo di Loras e Cersei è il conflitto di facciata, ma altre forze si agitano nell'ombra del sottosuolo, e saliranno a galla esplodendo in tutta la loro furia distruttrice. Il momento è eccezionale: tensione, interpretazioni, ogni attore in scena a recitare il suo giusto e coerente atto nella tragedia. Ecco quindi Loras più arrendevole, l'Alto Passero trionfante, Margaery l'unica a mangiare la foglia. Era la svolta più attesa e non ha deluso, anzi ha superato grandemente le aspettative. Da sottolineare il commento musicale che cresce opportunamente con la tensione e il montaggio, e il modo in cui tutte queste componenti frenano bruscamente nella scena del suicidio di Tommen, valorizzando il momento.

È una Cersei al di là del bene e del male, della vendetta e dell'odio, di motivazioni e compromessi, che diventa strumento di quel caos, quei venti dell'inverno che corrono lungo Westeros, illudendosi di avere il controllo. La sua è pura illusione, allucinazione del potere. Ma è anche quel timore provato per tutta la vita per una profezia che infine si autoavvera. I figli di Cersei muoiono inesorabilmente uno dopo l'altro, in qualche modo per cause a lei riconducibili, una catena di eventi all'altro capo della quale si trova una regina più giovane, che Cersei ha da subito identificato in Margaery, ma che in conclusione noi sappiamo essere un'altra.

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Ma in generale questo è un episodio che mette in scena una serie di svolte a lungo attese e costruite. C'è il ritorno di Arya Stark a Westeros e la sua immediata messa in pratica degli insegnamenti ricevuti. Mettendo da parte l'ovvia soddisfazione per la morte di Walder Frey, è una scena che giustifica – e ne avevamo bisogno – l'addestramento con i seguaci del Dio dai mille volti. È un personaggio ancora in cerca del suo posto nel mondo, ma che finalmente ha i mezzi per imporsi. A trovare il proprio posto è invece Bran, che finalmente abbraccia in pieno il suo nuovo ruolo di Corvo a Tre Occhi.

Benjen lo lascia insieme a Meera nei pressi della Barriera, ricordandoci che questa non è tenuta insieme solo dal ghiaccio, ma anche da poteri magici. La nostra attenzione però è rapita dall'atteso (una parola che ricorrerà moltissimo in questo episodio) momento alla Torre della gioia. Nessuna sorpresa, ma molte conferme. Lyanna muore nel dare alla luce Jon Snow, chiedendo a Ned di proteggerlo. La serie non ci fa il piacere di confermare esplicitamente chi sia il padre, ma non è difficile immaginare che sia proprio Rhaegar Targaryen.

Nell'attimo della conferma, una logica transizione ci porta a Grande Inverno, dove l'ombra di un conflitto si impone tra i vincitori. Già dalla scorsa settimana era evidente che ci fosse ben poco per cui rallegrarsi nella vittoria contro i Bolton, e che il trionfo si può raggiungere solo al prezzo di compromessi. Sansa chiede scusa a Jon per non averlo informato, ma quello che ci rimane alla fine sono gli sguardi d'intesa con Ditocorto, uniche due persone nella sala a non acclamare il re del nord. Gli Stark sopravvissuti non sono mai stati così vicini, eppure questi anni di sofferenza hanno scavato un solco tra di loro, una distanza che non sarà semplice colmare.

Chiudiamo, come è giusto che sia, su Daenerys. Il momento atteso per eccellenza è arrivato: la Madre dei Draghi parte per tornare a Westeros da conquistatrice. La accompagnano i tanti alleati ottenuti nel corso del tempo: i draghi, gli Immacolati, i Greyjoy, Varys, Missandei, Verme Grigio, Tyrion. Ed è proprio quest'ultimo a sottolineare la grandezza del momento che Daenerys sta per vivere. In quel dialogo entrambi diventano più umani di quanto siano mai stati, lontani dalla folla, lontani dai ruoli che devono ricoprire, la prima molto tesa per il grande passo che sta compiendo, e per il quale teme di non essere all'altezza, il secondo emozionato per la fiducia che gli viene accordata: la persona più disillusa di questo mondo ha trovato qualcosa per cui combattere.

Accade molto, è vero, ma tutto viene inquadrato in un'ottica più ampia e di lungo termine

Ancora una volta è stata la regia di Miguel Sapochnik, dopo l'ottimo lavoro della scorsa settimana in Battle of the Bastards, ad accompagnarci nell'intensa visione di The Winds of Winter. Dove la grande battaglia del nord chiudeva lo sguardo su una singola storyline – facciamo due – escludendo tutto il resto, quest'ultimo episodio ha invece il sapore di un lungo congedo generale. Accade molto, è vero, ma tutto viene inquadrato in un'ottica più ampia e di lungo termine. Ogni evento straordinario ha un valore per se stesso, che già basterebbe a renderlo memorabile, ma anche per gli equilibri futuri. Da buon season finale, scritto come sempre in queste occasioni da Benioff e Weiss, The Winds of Winter lavora molto sul foreshadowing, ma senza lasciare che la premessa di conflitti futuri metta in ombra le emozioni del presente. In questo senso è un finale decisamente migliore di quello dello scorso anno, che invece chiudeva su tanti, troppi cliffhanger puri, peraltro dalla risoluzione molto prevedibile.

Game of Thrones in tutto questo è la serie più riconoscibile e più importante degli ultimi anni. Non la più perfetta o la migliore, ma quella che, al di là di difetti, forzature, momenti di stasi, è riuscita a ridefinire le potenzialità del piccolo schermo, non più tanto piccolo, lasciandoci abituare lentamente alla grandezza. Almeno finché una fiammata verde non si alza verso l'alto scuotendoci dal torpore e ricordandoci quanto sia incredibile ciò a cui stiamo assistendo.

Riflessioni sparse:

  • Ricapitolando, le vittime più o meno illustri in questo episodio sono Tommen Baratheon, Margaery, Loras e Mace Tyrell, Kevan e Lancel Lannister, il maestro Pycelle, l'Alto Passero, Walder Frey e i suoi due figli Lothar e Walder.

  • Quindi rivediamo Dorne. Olenna mette a tacere le Serpi delle Sabbie, e questo ci piace. Si prefigura un'alleanza tra i Martell e i Tyrell che appoggerebbero Daenerys contro la Corona. Se così fosse l'esito della guerra sarebbe già deciso.

  • Dato che Game of Thrones non è abbastanza shakespeariano, la morte di Frey riprende il finale del Titus Andronicus.

  • Che meraviglia la biblioteca di Città Vecchia, con i suoi astrolabi (quelli della sigla) e le sue architetture che sembrano uscite fuori da un racconto di Borges.

  • Varys sfoggia le sue ovvie abilità nel teletrasporto.

  • Lyanna Mormont è un personaggio abbastanza inverosimile, costruito chiaramente per piacere al grande pubblico... e funziona benissimo, la adoriamo.

  • Non abbiamo detto nulla sulla sfuriata di Davos a Melisandre. È chiaro che tutto viene rimandato al futuro, ed è meglio così, ci sono abbastanza morti in questa puntata, e Melisandre non ha finito di dire la sua.

  • The Winds of Winter naturalmente è il nome del sesto romanzo delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, la cui uscita ormai è materiale per profezie e leggende varie.

  • A questo proposito, quest'anno abbiamo scelto di tirare in ballo i romanzi il meno possibile. Ormai queste sono due storie diverse, e, lo scriviamo con amarezza, francamente è anche difficile dire oggi quale sia quella principale.

  • Grazie a voi per aver letto queste lunghe recensioni. È stato un piacere seguire Game of Thrones quest'anno.

Per confrontarvi con altri appassionati della saga, vi segnaliamo la pagina Game of Thrones – Italy.

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