Come già era facile intuire dalle puntate precedenti, il nodo centrale della quinta stagione di
Game of Thrones – che in un batter d'occhio è già arrivata a metà strada – è tutto concentrato sugli eventi a nord. Dal Castello Nero dei Guardiani della Notte a Grande Inverno ormai infestato dai Bolton, la polveriera di Westeros è questa. La scrittura di
Kill the Boy non fa che ricordarcelo, relegando ai margini gli eventi di Tyrion e Daenerys, sorvolando del tutto su Approdo del Re e Dorne. Ne risulta un episodio più focalizzato su poche storyline, ma al tempo stesso meno incisivo di quelli immediatamente precedenti. Una puntata di transizione, necessaria per ribadire gli equilibri in campo e costruire tensione per lo scontro tra Stannis e Roose. Sprazzi di mitologia si rincorrono intanto qua e là, ricordandoci il grande affresco narrativo che emerge a tratti, ma rimane un punto da tenere sempre fermo.
Il significato del titolo è presto svelato dalle parole di Aemon. Sempre più affaticato, forse ormai prossimo alla morte, il vecchissimo Targaryen si rivolge a Jon spronandolo a intraprendere il sentiero più difficile, ma in prospettiva lontana forse quello giusto, che rischia di ravvivare le fiamme che ancora bruciano sotto le ceneri della tregua tra Guardiani e Bruti. Quindi un lungo viaggio a nord insieme a Tormund, per recuperare la gran parte del popolo libero, in balia degli Estranei che potrebbero usarli a loro vantaggio, e trasportarli oltre la Barriera. È una mossa molto rischiosa, che non soddisfa completamente nessuna delle due parti e che in particolare indispone i commilitoni di Jon. Su tutti emerge il giovane Olly: lo spazio che sta ricevendo in questa prima parte di stagione potrebbe farci pensare ad un ruolo più decisivo per lui in futuro. Quindi, metaforicamente, uccidere il ragazzo e diventare l'uomo che è destinato ad essere.
D'altra parte, in senso più concreto, l'idea di assassinare un bambino ritorna anche nel dialogo tra i due
Bolton. È un momento che ovviamente è modellato su quello, davvero intimo e riuscito, tra Stannis e Shireen della scorsa settimana. Due uomini di alto rango, severi e implacabili che si ritrovano con una discendenza "non alla loro altezza". La loro risposta è simile, ma le motivazioni sono diverse. Stannis rimane l'uomo giusto, non misericordioso, ma deciso. Roose è un mostro (emerge tutto nel racconto di come conobbe la madre di Ramsay), al pari del figlio, che a sua volta dopo un periodo di relativa tranquillità torna alla carica costruendo un momento di tensione e tortura psicologica tra Sansa e
Reek. Proprio
Sansa, nonostante sia più forte che in passato, non riesce a non fidarsi di Myranda, la figlia del padrone del canile, amante di Ramsay, che la condurrà proprio da Reek. In quel momento la regia di Jeremy Podeswa riesce a ricordarci, con un'inquadratura identica a quella che chiudeva il primo episodio della serie, come la torre sia quella da cui cadde Bran.
Ma questo episodio, al pari del precedente nel quale i riferimenti alla magia rossa, sangue reale e Rhaegar Targaryen si moltiplicavano, lascia il giusto spazio alla mitologia interna. Che è davvero estesa. Gli Estranei naturalmente, ma anche l'acciaio di Valyria – ossidiana – in grado di ucciderli, e quindi la stessa città in rovina nella quale si recano, in uno dei momenti più riusciti della puntata, Jorah e Tyrion. Il fuoco e il ghiaccio che tornano sempre. Lo sguardo impietrito del Folletto (che sta davvero soffrendo come personaggio la sua condizione, ma probabilmente era inevitabile) di fronte all'apparizione del drago rimane una delle immagini da ricordare, ma anche l'assalto degli uomini di pietra – afflitti dallo stesso morbo che ha colpito Shireen – che conduce al climax finale.
Poco riuscito invece tutto il segmento di
Daenerys, che in generale quest'anno sta dando il peggio di sé. Confermata la morte di Barristan (sorvoliamo sul momento romantico tra Verme Grigio e Missandei), la regina dei draghi sceglie di vendicarsi sui capi delle nobili famiglie locali. Un'idea che forse avrebbe avuto un senso, se perseguita prima o comunque fino in fondo. Invece, anche in questo caso con una scelta di strategia che arriva troppo in ritardo, Daenerys sceglie di ascoltare
Hizdar, riaprendo le fosse e annunciando un matrimonio di convenienza proprio con lui per rafforzare la sua presa sulla città. Puntata di transizione, con più di un momento di stanchezza nella parte centrale. Come detto, siamo arrivati in un batter d'occhio a metà della stagione, e se la narrazione mantiene intatto il suo fascino, è anche vero che con tutti questi fili da tenere tra le mani i burattinai Benioff e Weiss rischiano di far perdere consistenza alle azioni dei loro personaggi.