Game of Thrones 5x03 "High Sparrow": la recensione

Terzo episodio della quinta stagione di Game of Thrones: la recensione della puntata

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Spoiler Alert
Dopo averlo visto nel suo splendore e quindi in fiamme, fa un certo effetto vedere sul castello di Grande Inverno lo stemma dei Bolton durante la sigla. E proprio intorno alle sorti della Casata dell'uomo scuioiato appartengono buona parte delle storyline dell'ultimo episodio di Game of Thrones, intitolato High Sparrow, dal nome del capo della setta che intanto sta prendendo sempre più potere ad Approdo del Re. Un terzo episodio ancora in crescita rispetto ai primi due, una quinta stagione sempre più personale e indipendente per lo show della HBO, nuovi crocevia e nuovi percorsi mentre alcune storie iniziano a concentrarsi e nuove sfide si ammassano all'orizzonte.

Appunto, al terzo episodio possiamo già intuire che il centro nevralgico della storia in questo momento si è spostato al Nord, in questo momento sotto il protettorato di Roose Bolton. Un po' come il Frank Underwood della terza stagione di House of Cards, il lord traditore scopre che è più facile lavorare dietro le quinte, fra alleanze e colpi di mano, che gestire il potere una volta che questo è stato raggiunto. Non si può controllare una regione instabile come il nord solo con la forza, occorrono nuove strategie, e cosa c'è di meglio del solito matrimonio di convenienza, magari con la maggiore degli Stark ancora in vita? Ecco quindi che Sansa e Petyr passano per il Moat Cailin – la fortezza che Theon aveva riconquistato con l'inganno nella scorsa stagione tradendo gli stessi Greyjoy – e arrivano fino a Grande Inverno.

Petyr nonostante tutto non vuole tenere Sansa per sé. Da uomo di strategia e di potere qual è sacrifica i suoi sentimenti – e vogliamo credere che il suo malsano affetto verso la ragazza sia in qualche modo sincero – e mette il suo retaggio sul piatto della bilancia. Dall'altro lato Ramsay, meno pazzo del solito in questa puntata, che promette di aver cura di Sansa. Anche lui sembra sinceramente ben intenzionato, ma non c'è da fidarsi troppo. In ogni caso, come afferma Petyr, l'unico modo per ottenere giustizia è farselo da soli, e Sansa ormai è un personaggio completamente diverso rispetto a quella che era la vittima preferita di Joffrey. Vada come vada, sembra capace di difendersi da sola. Ma non finisce qui.

La scrittura, firmata ancora una volta da Benioff e Weiss, traccia due lunghe linee che corrono verso nord e verso sud. La prima interessa direttamente Stannis e il suo esercito, ancora bloccati alla Barriera ma pronti a calare sul Nord. In realtà questo per Stannis sarebbe solo un ottimo punto di partenza per tornare alla capitale, ed è per questo che cerca l'appoggio di Jon, verso il quale comunque prova un profondo rispetto, come chiave per accedere alla forza dei Bruti. Melisandre a riposo questa settimana, ma il sangue scorrerà lo stesso. È quello di Janos Slynt, il codardo che Tyrion molto tempo fa aveva inviato alla Barriera, e che paga con la vita la sua insubordinazione. Non ci mancherà, ma il momento della sua esecuzione è quello più teso dell'episodio: sarebbe stato una conclusione migliore per la puntata rispetto a quella scelta. Intanto, in appena tre episodi il personaggio di Jon è cresciuto moltissimo, e qui lo dimostra non tanto nella condanna di Janos, quanto nel riconoscimento del valore di Alliser Thorne.

L'altro contatto è rappresentato dalla missione di Brienne, seguita dal fedele Podrick. Nel momento decisivo dello scontro ci saranno anche loro, ma per il momento ci accontentiamo di un riuscito momento intimo nel quale il cavaliere rievoca il suo primo incontro con Renly: il personaggio di Gwendoline Christie rimane uno dei più interessanti, carismatici e meglio interpretati. Ad Approdo del Re intanto tutto avviene in funzione di qualcosa che accadrà, anche se la prima sequenza mostra un evento importante come il matrimonio tra Tommen e Margaery. Tutto viene filtrato attraverso gli occhi di Cersei, dopo la scomparsa del padre amministra il potere: e quindi la falsa vicinanza a Margaery, il favore concesso agli sparvieri (viene introdotto il loro leader, interpretato da Jonathan Pryce), l'appoggio a Qyburn, che continua gli esperimenti sulla Montagna.

Nel continente orientale prosegue l'addestramento di Arya, costretta a rinunciare a tutto ciò che le ricorda la sua identità passata per poter diventare una degli uomini senza volto. Non ci riesce del tutto, nasconde la sua lama tra le rocce, sperando di non lasciarlo scoprire a Jaqen, ma probabilmente non andrà così. Più sacrificato Tyrion, che nel suo viaggio con Varys per raggiungere Daenerys viene sorpreso da Jorah Mormont, che lo riconosce e lo sequestra per portarlo da una regina.

Certamente non è un argomento nuovo, ma il lavoro sui setting compiuto in questa serie è di una bellezza abbagliante. Dopo cinque anni si finisce per dare un po' tutto per scontato, ma questo episodio in particolare mostra alcuni scorci belli e curati in un modo che raramente abbiamo visto: dalle distese del Nord alle architetture di Volantis, dal tempio di Braavos alle strade di Approdo del Re. Intanto potremmo aver visto un episodio molto più intenso e importante di quanto emerge ad una prima visione: le storie iniziano a convergere, i piccoli gruppi iniziano a riunirsi, la scrittura inevitabilmente sacrifica qualcosa in termini di ritmo narrativo, ora troppo veloce ora troppo lento, ma dà l'idea di sapere perfettamente dove andare a parare.

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