Game of Thrones 5x01 "The Wars to Come": la recensione

Ritorna con la quinta stagione, e un episodio largamente introduttivo, Game of Thrones

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Spoiler Alert
Difficile definire ancora come una semplice trasposizione quello che, stagione dopo stagione, assume a tutti gli effetti i contorni di un nuovo, nel senso di inedito, adattamento di una storia che va avanti per altri canali da quasi vent'anni. Game of Thrones ritorna, e lo fa come ormai ci ha abituato, con una première che scatta frenetica da un luogo all'altro della mappa del mondo immaginario creato da George R.R. Martin, per riprendere le fila dei discorsi interrotti l'anno scorso. Inevitabilmente, ma forse meno rispetto alle altre stagioni, il ritmo narrativo e gli eventi ne risentono: su tutte le storyline, da quelle centrali a quelle più marginali, è forte la sensazione di un "dove eravamo rimasti", che si attarda ai blocchi di partenza per permettere agli spettatori di mettere a fuoco personaggi e motivazioni prima che la corsa annuale riparta del tutto.

Il sipario si alza su una giovane fanciulla che, come i suoi futuri tre figli, indossa "una corona d'oro" (ha i capelli biondi) e si reca da una veggente per conoscere il proprio futuro. È l'atteso flashback su Cersei, che già ce la mostra come una donna altezzosa, cresciuta all'ingombrante ombra del padre, ansiosa di raggiungere la grandezza. Ma è una sequenza che ci dice anche qualcosa di più: la veggente – a quanto pare non una ciarlatana, ma una vera sensitiva – avverte la giovane sull'incerto futuro dei suoi figli e su una regina, più giovane e bella, che la rimpiazzerà. Torniamo al presente, e in un'occhiata che si scambiano Cersei e Margaery troviamo una giustificazione per il sospetto e l'odio che la regina madre ha sempre provato per la Tyrell promessa a Tommen. Eppure noi sappiamo – o almeno possiamo sospettare – che l'avvertimento della veggente non si riferiva a Margaery, ma ad un'altra regina, che al momento si trova lontanissima da Westeros.

Daenerys ha infatti ben altro a cui pensare che al trono dei Targaryen da riconquistare ad occidente. Precipitare l'arpia simbolo della schiavitù dalla cima della piramide di Meereen si rivela un compito più semplice che sradicare le tradizioni dal cuore e dalla mente degli abitanti della città. Tutto il suo segmento non è altro che un riprendere i vecchi problemi con i quali l'avevamo lasciata nello scorso season finale. Hizdahr zo Loraq, rappresentante dei vecchi padroni, chiede la riapertura delle arene di combattimento; gli Immacolati, imbattibili in campo aperto, si rivelano molto vulnerabili e vittime dei "figli dell'arpia" che rimpiangono il vecchio ordine; come se non bastasse, Drogon è scomparso e i sempre più imponenti Viserion e Rhaegal sono infuriati con la regina per essere stati incatenati. Sorvolando su alcune parentesi tra l'inutile e l'improbabile come la situazione tra Missandei e Verme Grigio, è un blocco che ci mostra come, dopo l'allontanamento di Jorah Mormont, Daenerys stia perdendo uno ad uno tutti i suoi punti di forza.

Per lei si prospetta un momento molto difficile, ma l'aiuto potrebbe giungere dalla fonte più inaspettata.
Per la prima volta dall'inizio della storia, Varys alza la cortina di mistero che lo avvolge, e svela i propri obiettivi: lavora per la restaurazione dei Targaryen, si è sempre tenuto in contatto con Illyrio – che non vedremo nella première – e vuole convincere Tyrion ad unirsi alla causa. Il titolo dell'episodio, "The Wars to Come", sembra riferirsi in parte anche allo scontro che prima o poi Daenerys dovrà affrontare. Il folletto non ha nessun pensiero per Shae, e quei pochi nei confronti del padre ucciso non sembrano essere di rimorso, quanto di vergogna per la situazione senza sbocchi nella quale si trova ora. Tyrion è un personaggio svuotato e distrutto, e solo una nuova ragion d'essere potrebbe tenerlo in vita. D'altra parte per lui ad ovest non c'è più nulla.

Di fronte al cadavere di Tywin, Cersei infatti non esita a ricordare il suo odio per il fratello. Jaime annuisce, non può fare altro, lui che si è rivelato complice della fuga e che in questa première si limita a vivere della luce riflessa della sorella. Nelle fila dei Lannister intanto rivediamo il vecchio cugino Lancel – il figlio dello zio Kevan, Cersei era stata anche con lui – entrato nel culto religioso degli "sparvieri", irriconoscibile nell'aspetto e nell'atteggiamento. Poco da dire su Sansa e Petyr, così come su Brienne e Podrick, che nell'inconsapevolezza reciproca si sfiorano sul cammino vicino alla Valle.

L'unico altro fronte aperto rimane allora quello alla Barriera. Stannis e Melisandre amministrano come hanno sempre fatto, con il ferro e con il fuoco. A farne le spese è Mance Rayder, che non si piega a diventare il subordinato di Stannis e viene arso vivo, graziato solo da un gesto di Jon Snow che lo colpirà con una freccia, forse aprendo così un canale di fiducia con i bruti prigionieri. Spoiler destinato ai lettori: a differenza dei romanzi, la serie ha sempre tagliato i rami secchi, a partire da Jeyne/Talisa, ed è per questo motivo che potremmo considerare il personaggio davvero morto. Fine spoiler.

Classica première di Game of Thrones nel tradizionale stile della serie. Grandi setting, valori produttivi che crescono di anno in anno per una serie che, almeno sotto questo punto di vista se non per altri, ha già segnato la storia della televisione. E in tutto questo schegge dagli ultimi romanzi della saga, ultime pagine strappate alla storia scritta prima che Benioff e Weiss proseguano tracciando da soli il loro cammino. Sarà un altro Game of Thrones, e non è detto che sia peggiore del primo. Anzi, i segnali sembrano puntare in direzione opposta.

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