Game of Thrones 4x10 "The Children" (season finale): la recensione
La recensione del season finale di Game of Thrones, tra colpi di scena e momenti intensi
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L'ultimo episodio stagionale di Game of Thrones si apre senza soluzione di continuità con la conclusione dello scorso episodio, se non quella dovuta all'intervallo settimanale. Purtroppo in quel vuoto invisibile, ma tanto rumoroso, che separa la trasmissione dei due episodi si annidano tutti i dubbi per la gestione della storyline della Barriera. Tutto come previsto. Jon Snow si reca da Mance Rayder con il segreto proposito di ucciderlo, ma ad un livello ancora più nascosto, forse inconsapevole, con la speranza di intavolare una tregua. Nonostante qualche comprensibile amnesia tra gli spettatori, Ciarán Hinds è un interprete in grado di farsi ricordare e di riprendere le redini del proprio personaggio nonostante non si vedesse sullo schermo da parecchio. L'improvviso, inatteso, determinante arrivo di Stannis e della sua armata ribalta tutti gli equilibri della situazione. I Bruti, nonostante il grande numero, vengono ben presto ridotti al silenzio grazie ai migliori armamenti e alla cavalleria di Stannis. Jon Snow non esulta troppo: per lui solo una pira funeraria da preparare e il timore che, nel volto inquadrato dalle fiamme di Melisandre, si celi un nuovo pericolo per i Guardiani.
Altro giro, altra corsa, andiamo dall'altra parte del mondo per salutare Daenerys e i suoi draghi. Si tratta di due scene cardine, entrambe riuscite ed emozionanti, che aprono la strada a temi e situazioni che terranno banco a Meereen il prossimo anno. C'è una situazione emblematica, quella di uno schiavo liberato che chiede di ritornare in catene, o comunque di poter tornare alla casa del suo padrone, che poi è anche la sua. La Madre dei Draghi scopre che le catene invisibili sono più potenti di quelle di ferro, e che amministrare una città non è cosa che possa essere fatta solo con i proclami e i buoni propositi. Da una catena che viene tolta, ad un'altra che viene messa. Drogon uccide una bambina e fugge via. A una Daenerys in lacrime non rimane che incatenare gli altri due draghi rimasti, Viserion e Rhaegal. Gli effetti speciali e le splendide location si fondono in un gioco di inquadrature e fotografia che pur nel suo essere gettato nel mezzo dell'episodio supera di gran lunga il finale della scorsa stagione.
Prende completamente un'altra rotta il viaggio straordinario di Arya Stark. Brienne e Pod, con una prontezza e una rapidità invidiabili, oltre che con una fortuna sfacciata, sono riusciti a rintracciare in breve il Mastino e Arya, allontanatisi (non credo di capire per qualche motivo e soprattutto come) dal Nido dell'Aquila anche dopo aver rivelato l'identità della giovane. Ne scaturisce uno scontro ferocissimo e violento tra i due cavalieri. L'intensità del duello tra la Vipera e la Montagna è lontana, ma anche qui il sangue e l'istinto di sopravvivenza dominano la scena. Fra mutilazioni e sassate, lo scontro giunge al termine con la vittoria di Brienne, che tuttavia fallisce nel recuperare il suo obiettivo. C'è forse qualche semplificazione nella costruzione delle situazioni e del contesto (personaggi che si avvicinano, altri che si allontanano, altri ancora che si perdono), ma la forza del momento è intatta. Potrebbe aver trovato il ruolo della vita e non riuscire mai più a replicare questi livelli, ma rimane il fatto che Maisie Williams è uno dei volti più eccezionali della serie. Il finale di stagione, così particolare nel non giocare sul cliffhanger, ma solo sulle musiche e sull'intensità della scena, è tutto suo.
Gli eventi ad Approdo del Re si consumano rapidamente, ma sono quelli destinati a restare più impressi. Dopo essere stato offeso in tutti i modi possibili, dopo essere stato accusato di aver ucciso la propria madre e il nipote, dopo essere stato chiamato Folletto per una vita, Tyrion consuma la propria vendetta. Come Ditocorto aveva anticipato – in un simpatico inside joke – alcune settimane fa, gli uomini muoiono nelle situazioni più impensabili. Ed è così che il grande Tywin Lannister muore in una delle condizioni più indifese e meno dignitose che si possano immaginare. Ma Game of Thrones è così: si diverte a ribaltare stereotipi, figure tipiche, concetti come onore e simili. Fa la sua stessa fine Shae, tanto per ricordarci che le tipiche storie d'amore e salvezza reciproca qui non hanno spazio. D'altra parte, anche in questo i Lannister ripagano sempre i loro debiti.
E siamo arrivati alla fine di un'altra stagione di Game of Thrones. È stato un ottimo season finale, gli autori avevano promesso il migliore visto finora, e probabilmente hanno avuto ragione. Ma è stato soprattutto un season finale abbastanza diverso come impostazione, anche perché la stagione ha avuto una diversa impostazione. Finora abbiamo visto decimi episodi che si trovavano con il difficile compito di raccogliere gli eventi sorprendenti e i classici colpi di scena della puntata nove. Quest'anno, e non è un caso che tutto abbia finito per coincidere con la puntata nove "meno riuscita" vista finora, nell'episodio conclusivo si è osato come mai avevamo visto, e tutte le storie raccontate hanno detto la loro.
Sulla serie in generale è impossibile non ripetersi. Game of Thrones rimane l'evento televisivo del momento, quello da vedere, da seguire, di cui discutere animatamente tra un episodio e l'altro e soprattutto tra una stagione e l'altra. Lo è al di là dei suoi innegabili difetti, di quella che è una narrazione o troppo fedele o troppo libera, troppo veloce o troppo lenta, troppo superficiale o troppo dispersiva. Lo è perché nasce da uno sforzo produttivo mai visto, da un lavoro di adattamento tra i più difficili mai tentati, da una combinazione di interpretazioni, scrittura, regia tali da far dimenticare in più di un momento che stiamo pur sempre parlando di una serie televisiva. I media dialogano, si rinnovano, si rincorrono e si incrociano: Game of Thrones è uno dei testimoni più importanti di questo passaggio epocale.