Game of Thrones 4x08 "The Mountain and the Viper": la recensione

Game of Thrones racconta l'atteso scontro tra la Montagna e la Vipera, con un finale indimenticabile

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If you want justice, you've come to the wrong place.

Dispersivo, caotico, squilibrato e spesso superficiale. Eppure, nonostante tutto, Game of Thrones rimane il fenomeno televisivo assoluto in questo momento e in generale negli ultimi anni. Lo è per la ricchissima mitologia interna, lo è per l'inesauribile fonte di spunti e teorie rappresentata dalle sue mille diramazioni interne, lo è per l'impronta fortissima che la scrittura originale di Martin ha esercitato sui caratteri migliori della saga. Quando ognuno di questi elementi emerge perfettamente, e incontra con eleganza la visione di Benioff e Weiss, allora il risultato è qualcosa di inevitabilmente emozionante e indimenticabile. Ovviamente il riferimento è al finale di The Mountain and the Viper, forse uno dei momenti televisivi più forti e crudi di sempre, un segmento che giunge al termine di un episodio tutt'altro che impeccabile, ma che possiede una forza emotiva tale da far passare in secondo piano i vari difetti visti fino a quel momento.

Come già avvenuto in Mockingbird, il titolo è anticipazione del momento culminante dell'episodio, anche in questo caso relegato agli ultimissimi minuti della puntata. Torneremo ad Approdo del Re solo per poco tempo, solo per assistere ad un duello ampiamente anticipato e caricato di aspettative negli episodi precedenti. Prima di allora, la scrittura dei due autori della serie ci trasporta lontano, da un confine all'altro dei continenti di Westeros e Essos, e non sempre con esiti positivi.

Alla Barriera si avvicina il momento della battaglia decisiva tra i pochi e male armati Guardiani della Notte e le orde dei Bruti di Mance Rayder, del quale tuttavia a questo punto ci siamo quasi dimenticati il volto. Intanto Ygritte, Tormund, gli altri uomini del Popolo Libero e i Thenn fanno razzie e uccidono innocenti a Città della Talpa, ormai vicinissimi a piombare da sud su Jon e gli altri. Non è esattamente un segreto il fatto che la battaglia della Barriera occuperà forse tutto il prossimo episodio. Si tratta in particolare di uno dei pochi slanci letterari presenti nella saga di Martin nel corso dei quali si seguono direttamente le fasi di una battaglia, e la sensazione è che la scrittura della serie abbia fallito nel montare la tensione dello scontro imminente. Ultimo esempio ne è la sequenza a inizio episodio, affidata alle lacrime del poco coinvolgente Samwell Tarly. Quest'anno la Barriera non ha funzionato, speriamo di poter trovare nel prossimo episodio un degno seguito ideale di Blackwater.

Ancora peggiore l'autoindulgenza con la quale, a Meereen, si accumula minutaggio raccontando l'improbabile e per nulla interessante rapporto tra Verme Grigio e Missandei. Tra sguardi maliziosi, treccine e velati riferimenti alla sessualità degli Immacolati, i minuti passano, tradendo tutta la difficoltà nella gestione di un campo tanto aperto quanto in questo momento privo di tensione, addirittura quasi di una ragion d'essere. Guardiamo a questo punto già al prossimo anno della serie con timore, e nemmeno l'allontanamento improvviso di Jorah da parte di Daenerys aumenta l'interesse per la sottotrama più soporifera dell'episodio.

Va decisamente meglio con gli altri momenti topici dell'episodio. La scomparsa di Lysa Arryn (adorabile la reazione di Arya alla notizia della morte della zia) non può essere lasciata a se stessa, e quindi ecco un improvviso comitato formato dai Lord della Valle che cerca di far luce sull'accaduto. Petyr è perfettamente in grado di gestire la situazione, ma è l'aiuto tanto insperato quanto gradito di Sansa a cavarlo definitivamente fuori dai guai. Il cambio d'abito della ragazza è l'ovvia esteriorizzazione di un mutamento ben più profondo. Sansa, mai così lontana dalla giovane ragazzina di un tempo che viveva in un mondo idealizzato, si emancipa da se stessa ed entra in una nuova fase. È un cambiamento forse troppo improvviso, ma interessante, anche coerente con le mille disgrazie vissute da Sansa, inedito rispetto ai romanzi (che praticamente, per quanto riguarda questo personaggio, sono stati raggiunti).

E sempre a proposito dei romanzi, a ulteriore dimostrazione che questa stagione non rappresenta affatto solo la trasposizione della seconda parte del terzo libro, Theon/Reek è protagonista di un importante segmento tratto direttamente dall'ultimo libro pubblicato. Il suo padrone Ramsay Snow, che entro la fine della puntata diventerà Ramsay Bolton, gli affida la presa del Moat Cailin, attualmente in possesso dei Greyjoy. Theon, ormai completamente traviato, riuscirà a portare a termine il compito e a consegnare ai Bolton una delle ultime roccaforti non controllate nel nord. Anche qui la Guerra dei Cinque Re volge al termine. Nonostante il pessimo momento dell'incontro con la sorella Yara, la vicenda di Theon è stata ben gestita. Molto bravo Alfie Allen a dare corpo all'involuzione del suo personaggio, costruito nella serie forse in modo più accurato e "realistico" rispetto ai romanzi.

Ad Approdo del Re, infine, l'atteso duello tra la Montagna Gregor Clegane e la Vipera Rossa Oberyn Martell viene anticipato da un lungo e poco entusiasmante dialogo tra Tyrion e Jaime. Sarebbe molto semplice trovare una motivazione qualunque e una lettura nascosta a questo momento, che verte soprattutto sul ricordo di un cugino demente che passava il tempo a schiacciare insetti. Caos, innocenti fatti a pezzi, una forma distorta di potere, una profezia su ciò che sta per verificarsi nell'arena, scegliete pure la spiegazione che volete. Nell'attesa fremente dello scontro e con pochi minuti prima della conclusione, le boccacce dei due fratelli – che pure sono stati protagonisti di splendidi dialoghi nelle puntate precedenti – interessano poco.

E ora toccherebbe parlare finalmente dello scontro tra Oberyn e la Montagna. Mica facile senza cadere in ovvietà e in cose sentite e risentite. Forse allora il miglior commento che si può fare a questa sequenza è che, anche avendo letto i libri, anche conoscendo perfettamente gli sviluppi e le svolte, nei suoi momenti migliori, come questo o le Nozze Rosse, Game of Thrones riesce ad azzerare la consapevolezza del lettore, giocando solo sulla tensione dell'inevitabile e lasciandoci a occhi sbarrati. L'esecuzione è perfetta, la crudezza è inaudita, ma non è solo superficialmente in ciò che vediamo. Non ci avrebbe fatto alcun effetto vedere fatto a pezzi con la stessa ferocia un personaggio qualunque. Quello che la serie fa qui invece è giocare sugli stereotipi e suoi ruoli classici che, consapevolmente o meno, ognuno di noi conosce e su cui si basa per orientarsi nelle storie. A quel punto il ribaltamento ha un effetto devastante, e le urla disumane sono il sottofondo di una vendetta che scivola via per sempre.

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