Game of Thrones 4x05 "First of his name": la recensione

Arrivato a metà stagione, Game of Thrones svela un importante mistero

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Nemmeno il tempo di dire Dracarys, che la quarta stagione di Game of Thrones è arrivata a metà del suo percorso annuale. Il quinto episodio, intitolato First of his name, racconta vari momenti, alcuni interessanti, pochi davvero rilevanti, solleticando una certa sonnolenza nello spettatore in vari frangenti e limitandosi a preparare il terreno per gli sviluppi futuri. Ditocorto e Cersei rubano a più riprese la scena, imbastendo la loro personale interpretazione del gioco del trono, muovendosi agilmente da un personaggio all'altro, da una scena all'altra, in un collage di confidenze e momenti rivelatori che hanno il solo scopo di giungere ad un obiettivo specifico nel lungo o breve termine. Tutto questo mentre agli estremi del mondo si continua a combattere.

Dopo aver sacrificato ogni cosa, compreso il proprio minutaggio, nelle puntate precedenti, l'ultima dei Lannister, la donna nata in un mondo di uomini, si riprende un ruolo da protagonista. Lo fa con decisione, ma anche con una grazia e una sottigliezza che non le sono proprie, mettendo da parte il calice di vino e tirando fuori tutta la sua, pur sincera, disperazione materna. Di volta in volta Cersei si avvicina a Margaery, a Tywin e a Oberyn, lasciando che arrendevolezza, rispetto e calma muovano le sue parole. Tutto questo mentre, lo intuiamo facilmente, i pensieri nascosti ribollono di rabbia e sete di vendetta nei confronti di Tyrion, ritenuto da lei responsabile per l'omicidio di Joffrey. Dura un attimo la sorpresa nel vedere Cersei che si confida con Margaery e praticamente le promette il Trono e un matrimonio con Tommen (naturalmente la giovane dovrà consultarsi con suo padre Mace), nel vederla accettare serenamente il futuro matrimonio con Loras di fronte a Tywin, nel parlare quasi con complicità con Oberyn, facendo leva sulle perdite comuni.

Naturalmente sotto tutte queste parole si nasconde un disegno tanto banale quanto, forse, efficace. Quello di accattivarsi le simpatie dei tre giudici che andranno a decidere sulle sorti di Tyrion nel processo che inizierà di qui a breve. Ci riuscirà? Staremo a vedere. Ciò che emerge in questo momento, e in generale dall'episodio, è la sempre maggiore deresponsabilizzazione della figura del sovrano nel quadro generale degli eventi. In balia di intrighi sommersi, di figure più anziane ed esperte, dei debiti contratti dalla Corona con la Banca di Braavos, che sempre più ritorna nella storia, Tommen appare come un ragazzino sincero e di buon cuore, ma anche inerme, il semplice simbolo di un'unità di potere sempre più vacillante.

Perché il potere, lo sanno bene gli spettatori della serie, risiede dove gli uomini credono che risieda, e quando si inizia a giocare sul serio, nessuno è più pronto e scattante di chi non ha nulla da perdere, di chi è partito dal basso per risalire la scala seminando il caos. Ovviamente si parla di Petyr Baelish, che dopo le rivelazioni della scorsa settimana circa il ruolo giocato nella morte di Joffrey, aggiunge la propria firma almeno ad altri due eventi topici del passato della saga. In un dialogo con Lysa Arryn al Nido dell'aquila, scopriamo come furono loro due a organizzare la morte di Jon Arryn, il Primo Cavaliere che morì all'inizio della nostra storia, costringendo Robert a scegliere Ned come suo successore e dando il via a tutto. Lysa poi aggiunge: "You told me to write a letter to Cat, telling her it was the Lannisters...". Quindi fu anche Petyr ad alimentare i sospetti di Catelyn e Eddard nei confronti di Tywin e della sua famiglia, seminando sospetti ad Approdo del Re.

Francamente, a quattro anni dalla trasmissione di quegli eventi, dubitiamo che la morte di Jon Arryn fosse uno dei quesiti fondamentali nella mente degli spettatori. È una risposta che, prima o poi, doveva arrivare, ma che a questo punto ha valore soprattutto nel gettare una luce ancor più sinistra sulla figura di Ditocorto. Con una mano sull'erede della Valle – il piccolo e gracile Robert Arryn – e l'altra sulla possibile erede del Nord – la giovane Sansa, che passa dalla follia di Joffrey a quella della zia – e con il castello di Harrenhall e i territori di sua proprietà, Petyr sta costruendo la propria fortuna tenendo all'oscuro tutti gli altri giocatori.

Questo è il nucleo fondamentale dell'episodio, e non può essere ignorato. Tuttavia i 55 minuti settimanali sono difficili da riempire, e quindi ecco l'altra faccia della medaglia. Non credevamo di arrivare a dirlo, ma i momenti con Arya e il Mastino, i nomi dell'odio e il tormentone "Fuck the king" hanno stancato. C'è un sottile confine tra momenti dedicati allo sviluppo dei personaggi e semplice riempitivo, e in questo caso la scrittura l'ha superato da un pezzo. Contando anche lo scorso anno, è da circa nove episodi che la vicenda dei due non si evolve: è arrivato il momento della svolta. Idem per l'altra coppia, quella formata da Brienne e Pod, ennesima sidequest di una saga già infinita di suo e che non avrebbe bisogno di nuove diramazioni. Gwendoline Christie e Daniel Portman danno vita a due personaggi gradevoli, simpatici, di cui possiamo anche apprezzare il piccolo siparietto occasionale, ma su tutto rimane sempre minacciosa l'ombra dell'esigenza narrativa, che tutto muove e che tutto deve giustificare.

Sono i romanzi, croce e delizia dell'adattamento che – va riconosciuto – è forse il più difficile della storia della tv. Perché Game of Thrones è anche questo: un numero enorme di linee parallele che corrono in avanti, a volte interrompendosi bruscamente, a volte convergendo in altre, a volte spezzandosi in due. Eppure Benioff e Weiss, a torto o a ragione, ma comunque dimostrando di avere coraggio e di voler sviluppare un proprio racconto, si sono più volte distaccati dagli eventi originali. Nell'ultimo episodio e in questo abbiamo assistito ad una parentesi non indifferente legata ai Guardiani della notte e alla casa di Craster, una parentesi che, giocando più del dovuto con le coincidenze – ancora Bran e Jon a pochi passi l'uno dall'altro – e sui collegamenti – Locke inviato dai Bolton a uccidere Jon – ha raccontato qualcosa di inedito. Ora, un po' di azione è sempre gradita, vedere Bran che entra nella mente di Hodor ha il suo effetto, e il braccio in fiamme di Jojen ci ha incuriositi, ma stiamo pur sempre parlando di un riempitivo sulla strada verso un obiettivo che non appare più vicino oggi di quanto lo fosse all'inizio della stagione.

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