Game of Thrones 3x10 "Mhysa": la recensione

Ultima puntata per Game of Thrones, che chiude in maniera debole e appoggiandosi molto agli eventi della scorsa settimana

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Mentre si spegne l'eco delle note di Rains of Castamere, mentre ancora si ripulisce il sangue del massacro della scorsa settimana, mentre ancora il fortissimo contraccolpo strategico della sconfitta degli Stark non è stato assorbito dai contendenti, dal Nord una minaccia che non si può più ignorare richiama all'ordine e inizia ad imporre la propria presenza nella grande narrazione. In un finale nettamente più sottotono rispetto alla puntata precedente e costruito all'ombra degli eventi devastanti della scorsa settimana, Game of Thrones dà forma al proprio futuro, scindendo il proprio cuore narrativo in due parti, una più emotiva ma che non fa avanzare di troppo la trama collocata a Westeros, e in particolare ad Approdo del Re, e una più "attiva" legata alla Barriera.

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I momenti migliori dell'episodio finale della terza stagione sono tutti concentrati nella prima parte della puntata e coincidono con il necessario prolungamento del climax raggiunto durante le Nozze Rosse. Se infatti da un lato era logico, e in linea con la scrittura originale, far esplodere in un silenzio di tomba i titoli di coda sulla morte di Catelyn, d'altra parte non si poteva tacere, a posteriori, sull'affrontare le premesse di una simile risoluzione. Eccola quindi la scena migliore di Mhysa, in cui il Concilio Ristretto viene convocato in gran fretta per assimilare la notizia. Sostanzialmente la scena, oltre alla perfetta alchimia tra i protagonisti, non offre nulla di nuovo sul piano narrativo, se non la conferma di una serie di tensioni finora soppresse ma mai negate che vedono come comun denominatore la figura di Tyrion, elemento cardine, proprio perché così diverso dal resto della sua famiglia, nel contrasto con Joffrey, con Tywin, con Cersei.

Ed è un clima di tensione che apparentemente confligge con una guerra, quella dei cinque re (due dei quali morti) che sembra ormai volgere al termine consegnando di fatto la vittoria ai Lannister. A volo di corvo, quello inviato dai Guardiani per implorare aiuto ai signori del continente, vediamo Stannis che, stretto in un'insolita comunione d'intenti da Davos e Melisandre, viene spinto proprio verso la Barriera. Dall'altra parte del mondo invece l'ultimo re, Balon Greyjoy, appare per la prima ed unica volta in questa stagione insieme a Yara, quest'ultima decisa a partire per tentare di salvare il fratello. Si tratta di risoluzioni veloci, drastiche e costruite in maniera troppo artificiosa. In particolare quella di Stannis, che se raccontata meglio avrebbe potuto rappresentare un cliffhanger ben migliore di quello scelto.

Perché, diciamolo, la scena finale di Mhysa, soprattutto se contrapposta ai botti della prima e seconda stagione, non riesce a fare il proprio dovere come dovrebbe. Vedere Daenerys inneggiata dalla folla di Yunkai, malgrado la rappresentazione di una regina "giusta" e, più in generale, di un personaggio che proietta il proprio percorso di liberazione ed emancipazione del proprio ruolo sugli altri – al contrario di praticamente tutti gli altri protagonisti – non riesce semplicemente a restituirci quell'emozione che ci aspettavamo e che ci dovrebbe far tremare al pensiero di dover aspettare un altro anno. Note sparse sulla conclusione del viaggio di Jaime che, giunto ad Approdo del Re, semplicemente con un gesto, quello di non rispondere ad un mercante che lo insulta, mostra di essere una persona diversa (ma per vederlo basta osservare non tanto il suo braccio, quanto il suo sguardo), sulla fine del percorso di disumanizzazione del bastardo di Bolton contro Theon/Reek (bravi gli autori a mantenere il personaggio anche in questa stagione, nonostante il diverso percorso dei romanzi), sul personaggio di Arya, uno dei migliori se non il migliore in assoluto, protagonista delle due scene di maggior impatto del finale.

Game of Thrones lancia le basi per la prossima stagione: dalle parole di Melisandre, e non solo, ci rendiamo conto che il cuore narrativo ormai sta per essere spostato, esteso da Westeros verso Nord (i Bruti e gli Estranei avanzano) e verso Est (Daenerys sembra inarrestabile). Ad impersonare questo mondo in mutamento verso il ghiaccio, verso le tenebre, verso il ritorno della magia troviamo Bran, che da erede di Grande Inverno si ritrova profugo alla ricerca di una visione. Ci sarebbe molto da dire su questa terza stagione: imperfetta, lenta, statica, schiacciata dal peso di una trasposizione tra le più impossibili che esistano, divisa tra mille sottotrame e la necessità di mantenere un rigido sistema di avanzamenti, momenti riflessivi, caratterizzazioni, capace di uno sforzo produttivo quasi senza precedenti esploso soprattutto nel pirotecnico finale di And now his watch is ended, ma anche di momenti intimi di altissimo valore come quello tra Jaime e Brienne in Kissed by fire. Per tutte queste considerazioni, ad oggi Game of Thrones rimane una delle realtà più solide e più alte che la televisione possa offrire.

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