Game of Thrones 3x07 "The Bear and the Maiden Fair": la recensione

Staticità e piattezza narrativa: l'episodio scritto da Martin è il peggiore andato in onda finora

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The Bear and the Maiden Fair è la peggiore puntata di Game of Thrones andata in onda finora. E così ci siamo levati il dente senza girarci troppo intorno. Le motivazioni per le quali lo è sono invece un pò più difficili da individuare. Ciò che salta subito all'occhio è che la scrittura dell'episodio, come già avvenuto per l'invece bellissima Blackwater, è firmata da George Martin. In questa probabilmente può essere rintracciata una delle cause del peggior difetto della puntata: la sua staticità. Ed è una stasi che, al contrario di quanto avvenuto con le prime tre puntate di quest'anno e con The Climb, non è funzione di una maggiore focalizzazione sulle storyline e soprattutto non si accompagna ad una scrittura di livello che giustifichi questo rilassamento narrativo.

La sensazione finale è che Martin nel mettere la firma sulla scrittura della puntata abbia narrato eventi portanti del romanzo A Storm of Swords, forse il migliore dei libri, che ben altra tensione narrativa avrebbero meritato, con uno stile diverso e molto più vicino agli ultimi, non riuscitissimi, romanzi della saga e che, al contrario del penultimo episodio della scorsa stagione, dove l'essere vincolato a dover raccontare un avvenimento importante come una battaglia, tirava fuori il meglio dallo scrittore, qui forse l'eccessiva libertà concessa è stata un elemento a sfavore. Lentezza, giramenti a vuoto, storyline intrappolate nel loro immobilismo: in tutto ciò non ci sarebbe nulla di male se la scrittura fosse di livello e riuscisse a tenere alta l'attenzione (ricordiamoci i bellissimi dialoghi dello scorso anno tra Tywin e Arya). Il problema è che, tranne un paio di segmenti riusciti, l'episodio non riesce a reggere il ritmo – e questo davvero è un evento – per tutta la sua durata e spesso rischia di annoiare.

Quelle piccole scene di transizione che puntellano le puntate e l'anima dei protagonisti non solo qui occupano gran parte del minutaggio, ma risultano eccessivamente allungate. È il caso del dialogo tra Robb e Talisa, di Jon e Ygritte, di Margaery e Sansa, ma soprattutto di Bran e gli altri. Questo finora è stato il segmento peggiore e i difetti di questa puntata non sono altro che la riproposizione di tutti quegli elementi negativi visti finora: stasi, dialoghi poco incisivi (ci ricordiamo ancora il litigio tra Osha e Meera), approfondimento praticamente nullo delle visioni di Bran, gestione poco riuscita tanto dei metalupi quanto di Rickon.
Funzionano meglio le storyline di Tyrion (era importante vedere tanto la sua reazione quanto quella di Shae alla notizia del matrimonio combinato con Sansa) ma anche un bel dialogo tra Tywin e Joffrey (in un gioco di sguardi e di posizioni che vanno aldilà del significato letterale dei dialoghi ci viene mostrato il rapporto tra i due). Idem per il povero Theon, sempre più vessato e disumanizzato e sulla strada per diventare la controfigura di Grifis in Berserk.

Per gli stessi motivi di Theon (un personaggio negativo che attraverso la tortura subisce un processo di riscatto personale e di fronte allo spettatore) anche la figura di Jaime esce vincente dalla puntata. È sua la scena, quella finale ad Harrenhal (ma gli spettatori non lettori si ricorderanno che è la stessa città in cui si trovavano Tywin e Arya, in cui Robb e il suo esercito arrivavano nella prima puntata, la stessa promessa a Ditocorto? mah), ben diretta ed emozionante, che offre le migliori soddisfazioni dell'episodio.
L'altro momento rilevante è quello di Daenerys, finalmente giunta a Yunkai (dopo averla vista per tre volte nella sigla era ora) e decisa a trarre il maggior vantaggio con il minimo sforzo dalla situazione. Ormai la Madre dei draghi ha il pieno possesso del ruolo che la storia le ha assegnato e, aldilà della calma e della diplomazia con la quale affronta il dialogo con l'emissario della città (situazione completamente diversa rispetto a quando, nella seconda stagione, implorava di fronte alle porte di Qarth), è la costruzione stessa della scena a suggerire la sua maturità. I due compagni alla sua sinistra, i tre draghi sulla destra e lei al centro in posizione rialzata e su un bel divano rispetto all'uomo che ha di fronte, più in basso e su una semplice sedia. Il gioco del trono è anche questo.

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