Game of Thrones 2x06 "The old gods and the new": il commento

La gestione della narrazione e alcune caratterizzazioni azzeccate rendono la serie di Game of Thrones per certi aspetti migliore dei romanzi originali...

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Perché la serie tv Game of Thrones è migliore dei libri da cui è tratta?

Il primo passo per realizzare una degna trasposizione, soprattutto quella di un'opera nota e diffusa come lo è l'infinita saga di George R. R. Martin, è quello di decidere a priori quale approccio utilizzare nei confronti del materiale di partenza. Gli ovvi rischi nei quali si può incorrere nei due casi estremi sono, da un lato, quello di snaturare l'opera originale, modificando tono della narrazione, sovvertendo i caratteri, banalizzando o semplificando eccessivamente linguaggi e situazioni oppure, dall'altro lato, quello di realizzare un semplice copia-incolla, temendo di vedere i fan sulle barricate, e ignorando così completamente l'obbligatorio adattamento che un passaggio tra due mezzi così diversi l'uno dall'altro impone. La HBO è andata oltre questo, compiendo una sorta di miracolo televisivo e realizzando qualcosa che sotto alcuni aspetti risulta migliore al materiale originale.

Il personaggio di Theon Greyjoy è emblematico in tal senso. I primi dieci minuti di questa puntata, che lo vedono protagonista assoluto alle prese con la facile e poco gloriosa conquista dell'indifesa fortezza di Grande Inverno, sono un concentrato perfetto e crescente di tensione. Questo giovane sbandato, confuso, senza casa nè patria, ha compiuto l'ultimo passo che lo separava dalla definitiva perdita della sua anima, sancita dalla crudele e insensata morte del maestro d'armi Rodrick Cassell. Il freddo glaciale del nord congela l'istante in cui viene eseguita la condanna a morte dell'uomo, fra le urla dell'impotente e immobilizzato Bran che non può fare altro che assistere, la profezia di sconfitta che Rodrick lascia come monito a Theon ("Gods help you, Theon Greyjoy. Now you are truly lost" ) e l'evidente richiamo ad una delle prime scene della prima stagione nella quale Ned Stark si presentava staccando con un singolo fendente la testa dal collo di un fuggitivo.

La produzione, portando avanti un percorso da sviluppare nel lungo periodo, ha gettato le basi per la costruzione di questo personaggio fin dalla prima stagione, per poi sfruttarlo pienamente nella seconda, in cui il suo è diventato un ruolo di primo piano. Stesso non si può dire per la controparte cartacea dove, non solo nel primo romanzo il personaggio rimane spesso sullo sfondo, per poi salire alla ribalta in A Clash of Kings, ma la stessa caratterizzazione del principe delle Isole di Ferro risulta insufficiente a costruire un personaggio a tutto tondo, fin troppo pronto a tradire la casa Stark per i Greyjoy (qui invece il momento è stato approfondito in più momenti nelle scorse puntate presentando la scelta come tutt'altro che scontata).

Laddove invece i romanzi, nel bene e nel male, sono vincolati ad uno stile basato esclusivamente sul punto di vista del protagonista del capitolo in questione, mettendo in scena di fatto solo le emozioni di quel determinato personaggio, il vantaggio di una produzione televisiva è quello di non dover rimanere ancorata ad una visione "unica" ma di poter gestire con una panoramica più ampia situazioni altrimenti difficilmente percepibili. E' il caso ad esempio dell'incontro tra Catelyn e il figlio Robb all'accampamento degli Stark. Sorvolando sui rapidi tempi di spostamento dei personaggi all'interno di un continente molto vasto e, come se non bastasse, attualmente in preda ad una guerra, è interessante gettare nuova luce sul personaggio del giovane lupo, al contrario dei romanzi dove le sue emozioni e comportamenti, non ultimo il rapporto con Lady Talisa, vengono mostrati attraverso il filtro di Catelyn e dei suoi pensieri di madre.

Un altro ottimo momento della puntata è quello dell'assalto della folla di Approdo del Re alla famiglia reale di ritorno dopo aver accompagnato la principessa Myrcella alla sua partenza per il regno della Casa Martell. Il personaggio di Tyrion rimane sempre eccellente sia su carta che in video, e anche qui dimostra la sua capacità di saper leggere con anticipo le situazioni (qui il suo primo pensiero è per il principe Tommen, non per il re), di saper reagire nel giusto modo alle provocazioni degli altri – dalla folla ai membri della famiglia – e di saper rifilare degli ottimi ceffoni al momento opportuno.

Le stupende location dell'Islanda e della Croazia si alternano per raccontare le vicende dei personaggi più lontani dall'azione: Jon e Daenerys. Anche qui la produzione, alle prese con un rallentamento di entrambe le sottotrame nel romanzo di partenza, ha ritenuto di gestire le vicende, non sempre riuscendo positivamente a dire il vero, implementando poche situazioni inedite fino al presumibile culmine del finale di stagione.

Ma, aldilà delle conquiste, degli accampamenti, dei tumulti nelle rocche, dei deserti di ghiaccio e delle città nella Desolazione Rossa, la scena migliore della puntata è quella che si svolge in una stanza, attorno ad un tavolo, e che vede come protagoniste solo tre, anzi due, persone che parlano. Questi pochi minuti in cui Petyr Baelish, Twyin Lannister e Arya Stark sono faccia a faccia condensano tutto ciò che di magnifico c'è in questa serie rispetto ai romanzi originali: capacità di prendere qualcosa di nuovo e adattarlo perfettamente nella narrazione, in una scena non fine a se stessa ma che introduce e spiega meglio quelli che potrebbero diventare nuovi sviluppi e mostrando non solo la risposta emotiva della protagonista ma gli sguardi e le emozioni di ogni partecipante alla scena (non si riescono a staccare gli occhi da Ditocorto e si aspetta solo che riconosca Arya).

La serie non è assolutamente esente da difetti, non sempre i cambiamenti o le aggiunte sono riuscite e sotto molti aspetti i romanzi si mantengono superiori, ma è impossibile non apprezzare lo sforzo e la cura messe all'opera quando più di cinquanta minuti trascorrono in un lampo e non si sente affatto la mancanza di battaglie.

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