Galveston, la recensione
Il primo film americano da regista di Melanie Laurent è materia spinosissima di Nic Pizzolatto e il risultato, sebbene imperfetto, sorprende e stupisce
Galveston, la recensione
Galveston, il quarto lungometraggio di Melanie Laurent (uscito nel 2018 ma arrivato solo ora nelle sale italiane), è un’ottima bozza su cui lavorare. Certo c’è da limare, aggiustare e sistemare, ci sono personaggi come Rocky (Elle Fanning) da ingrandire e approfondire, ci sono alcuni cliché da rimodellare perché non sembrino così cliché e soprattutto vanno aggiustati i tempi della parte centrale. La buona notizia è che il grosso va bene e il lavoro da farci è minimo.
Purtroppo però il film non è una bozza. È così, fatto e finito.
La materia base proviene dal romanzo di Nic Pizzolatto e lui stesso l’ha adattata per lo schermo dietro pseudonimo. È quindi ottima. E Melanie Laurent non lavora nemmeno male nel farla diventare immagini. Anzi. Sorprendentemente centra al primo colpo quel mondo.
La storia è più che essenziale: un criminale con una malattia terminale che non ha intenzione di curare finisce in una sparatoria durante una rapina. Ne esce vivo e lì incontra una escort legata ad una sedia, la libera e fuggono dalle conseguenze della sparatoria. In una bella scena si caricano anche la sorella piccola di lei per poi fermarsi a Galveston, paesino in cui nascondersi per un po’. I problemi li raggiungeranno prima di quanto credano.
Cliché e stereotipi in un setting promettente che devono divincolarsi per diventare esseri umani, o almeno per riuscire a dirci qualcosa di concerto con l’ambiente in cui vivono (il meteo come sempre in Pizzolatto è fondamentale per riflettere la vita delle persone).
È evidente che Melanie Laurent sa bene dove si trovi oggi il noir e nello specifico come funzionino le sue declinazioni americane di provincia. Sa bene cosa è stato fatto in passato delle sceneggiature di Pizzolatto e lo tiene presente. Fa insomma un gran lavoro di pianificazione e pre-produzione. Le scelte sembrano tutte giuste inclusi i due protagonisti, Ben Foster e Elle Fanning, scelti per essere agli antipodi. Il massimo del duro, muto e burbero, con il massimo del tenero e solare. Tutto è giustamente funzionale ad un finale ambizioso (che però non è proprio all’altezza delle suddette ambizioni).
Purtroppo i problemi stanno tutti nelle limature. Il ruolo della sorella minore è troppo accennato, il crescere della relazione tra i due è troppo minimale e anche la risoluzione finale non funziona tutta alla stessa maniera, senza contare i momenti di stasi in spiaggia.
Questo perché come spesso capita agli attori o attrici passati alla regia anche Melanie Laurent si affida eccessivamente alla recitazione. È recitando che il film risolve ogni situazione, e del resto ci sono diversi assoli per gli attori, inquadrati fissi con camera ferma (il massimo della concentrazione) ma non sempre fanno tutto il lavoro che dovrebbero. Ogni problema è affrontato lasciando a Ben Foster (che comunque è bravissimo) il compito di mettere a posto tutto. Questo è vero anche nel difficile finale del film (che rimane bello) in cui sarebbe servito più supporto ai suoi occhi tristi e stanchi.