Gagarine, la recensione
In un viaggio metaforico ai confini di un doloroso cambiamento, Gagarine tenta di trasformare questa allusione in delicata poesia, affievolendosi però dopo poco
Danzante e sognante su note celestiali, la macchina da presa di Fanny Liatard e Jérémy Trouilh fluttua attorno al sedicenne Youri (Alseni Bathily) descrivendone il centro di gravità: lui che si chiama come il primo cosmonauta è infatti l’ultimo baluardo di testarda resistenza - irremovibile dal suo appartamento-navicella - ai demolitori che stanno per buttare giù il complesso abitativo dove ha sempre vissuto, Cité Gagarine. In un viaggio metaforico ai confini di un doloroso cambiamento (Youri non ha nessun altro posto, né geografico né umano, da chiamare casa), Gagarine tenta di trasformare questa allusione in delicata poesia, affievolendosi però dopo poco nella ripetizione estenuata della metafora.
Di Youri sappiamo che ha una madre assente, e che per lui Cité Gagarine (diversamente da alcuni condomini) deve essere salvata letteralmente ad ogni costo perché è la sua vera famiglia. Abbandonato a sé stesso in questo lotta, Youri trova punti di contatti con un mondo esterno attraverso Diana (Lyna Khoudri) e in piccola parte con il migliore amico Houssam (Jamil McCraven): di queste relazioni non percepiamo però mai la potenza, il significato, così come di Youri vediamo l’urgenza di salvare un mondo senza però capirla nei suoi aspetti personali.
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