Futura, la recensione | Cannes 74
Con l'imprevisto arrivo della pandemia, Futura è diventato un documentario che esplora i sogni prima e dopo che il presente li modifichi
Di tutte le possibili ragioni per rispolverare la trovata di Comizi d’amore di Pasolini (girare l’Italia e chiedere a persone diverse di estrazioni diverse cosa ne pensino di un certo argomento), fare domande ai ragazzi sul futuro forse è la migliore.
Proprio perché questo documentario ha un particolare interesse, racconta molto con le sue interviste e sa, quando deve, parlare con le immagini, non è chiaro come mai si sia scelto di usare anche, ogni tanto, la voce fuoricampo di Alice Rohrwacher. Quel che dice non è strettamente indispensabile alla comprensione di quel che vedremo (tranne quando occorre spiegare che tutto si è fermato per il lockdown) ma semmai serve ad astrarre il discorso su un piano che alla prosa (dei ragazzi, come sempre molto concreti) preferisce la poesia. Questo lo allontana invece che avvicinarlo ai suoi obiettivi e smorza la forza pragmatica (e contemporaneamente naif) degli intervistati. Come se Futura non si fidasse della capacità che invece ha di fare il medesimo lavoro con le immagini invece che con le parole.
Se a questo si aggiunge la capacità fuori dal comune di mettere i ragazzi a loro agio e lasciare così che emerga la spontaneità delle interazioni, dei toni di voce e delle valutazioni (alle volte spietate) è completo il quadro non solo del miglior ritratto degli ultimi anni di questa età, non solo dei ragazzi del 2021, non solo di come guardare i ragazzi al cinema, ma anche un documentario che sa evocare un'eccezionale nostalgia per quell'età senza fare attivamente nostalgia, al contrario lasciando che a fare tutto il lavoro sia l'inesorabile verità di movimenti, sguardi e incertezze ben catturati.
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