Futura, la recensione | Cannes 74

Con l'imprevisto arrivo della pandemia, Futura è diventato un documentario che esplora i sogni prima e dopo che il presente li modifichi

Critico e giornalista cinematografico


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Futura, la recensione | Cannes 74

Di tutte le possibili ragioni per rispolverare la trovata di Comizi d’amore di Pasolini (girare l’Italia e chiedere a persone diverse di estrazioni diverse cosa ne pensino di un certo argomento), fare domande ai ragazzi sul futuro forse è la migliore.

Futura nasce benissimo e nasce da tre filmmaker eccezionali, Alice Rohrwacher, Pietro Marcello e Francesco Munzi, loro tre si dividono i compiti e coprono tutto il territorio spaziando bene tra grandi città e province, tra estrazioni differenti, ambizioni differenti e persone diverse unite solo dall’età. Ma se il progetto era buono, gli eventi lo hanno reso eccezionale. In mezzo alla lavorazione c’è infatti stata la pandemia e come con un twist narrativo improvviso questo ha cambiato tutto nelle vite di tutti. Nelle interviste che vengono dopo il lockdown la visione di futuro non è più la stessa.

Proprio perché questo documentario ha un particolare interesse, racconta molto con le sue interviste e sa, quando deve, parlare con le immagini, non è chiaro come mai si sia scelto di usare anche, ogni tanto, la voce fuoricampo di Alice Rohrwacher. Quel che dice non è strettamente indispensabile alla comprensione di quel che vedremo (tranne quando occorre spiegare che tutto si è fermato per il lockdown) ma semmai serve ad astrarre il discorso su un piano che alla prosa (dei ragazzi, come sempre molto concreti) preferisce la poesia. Questo lo allontana invece che avvicinarlo ai suoi obiettivi e smorza la forza pragmatica (e contemporaneamente naif) degli intervistati. Come se Futura non si fidasse della capacità che invece ha di fare il medesimo lavoro con le immagini invece che con le parole.

È infatti la maniera di guardare, tagliare e montare gli sguardi di questi ragazzi intervistati sempre in gruppo (di nuovo, come Pasolini) a dire tutto quel che c’è da dire su di loro. Specialmente le ragazze quando sono tra di loro sono guardate con un amore e una partecipazione che sarebbe facile imputare ad Alice Rohrwacher (perché appartiene al suo cinema ma di fatto non è mai esplicitato chi abbia girato cosa), è che è il miglior esempio di come Futura costruisca sopra Comizi d’amore. Quel documentario dal punto di vista della messa in scena era molto elementare, mentre questo ha un punto di vista già nelle immagini, esprime un sentimento e non lascia che i ragazzi si raccontino da soli, li vuole proprio raccontare, vuole imporre un modo di guardarli. Uno mai paternalistico, mai intenerito, mai superiore ma semmai appassionato. Il che in sé è rivoluzionario.

Se a questo si aggiunge la capacità fuori dal comune di mettere i ragazzi a loro agio e lasciare così che emerga la spontaneità delle interazioni, dei toni di voce e delle valutazioni (alle volte spietate) è completo il quadro non solo del miglior ritratto degli ultimi anni di questa età, non solo dei ragazzi del 2021, non solo di come guardare i ragazzi al cinema, ma anche un documentario che sa evocare un'eccezionale nostalgia per quell'età senza fare attivamente nostalgia, al contrario lasciando che a fare tutto il lavoro sia l'inesorabile verità di movimenti, sguardi e incertezze ben catturati.

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