Futura, la recensione

Futura di Lamberto Sanfelice è un film che ha tutte le carte in regola per diventare qualcosa di forte ma che purtroppo si perde in un bicchier d’acqua

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Futura, la recensione

Non è affatto male il soggetto alla base di Futura: il film diretto da Lamberto Sanfelice, da lui scritto insieme a Fabio Natale, ha infatti al centro un trombettista jazz francese che vorrebbe suonare sempre ma che per mantenersi porta in taxi una spacciatrice cilena, Lucya, mentre questa compie le sue consegne, attraversando giorno e notte una Milano anonima e periferica. Niente di eccessivamente originale, ma già solo per la volontà di mettere al centro la musica jazz, costruendoci intorno il dramma familiare (e non spettacolarizzando mai in modo pietistico o indelicato la componente dello spaccio), Futura prova a distinguersi dalle solite storie del nostro cinema. Peccato, però, per la realizzazione: Sanfelice ha la mano fin troppo ferma, uno sguardo non abbastanza indagatore, e la distanza che intercorre tra chi guarda e il protagonista, per buona parte del film, impedisce di addentrarsi laddove le parole non arrivano.

Louis (Niels Schneider) è infatti un personaggio poco loquace, introspettivo, il cui rapporto tormentato con il famoso padre musicista, che lo abbandonò da piccolo, si riversa silenziosamente e dolorosamente in quello con la moglie Valentina (Matilde Gioli) e soprattutto la figlia Anita (Aurora Onofri), che da lui cerca attenzione ma con cui non riesce mai a comunicare in modo sincero, mentre con Lucya (Daniela Vega) scambia sempre poche parole. Niels Schneider è tenuto sempre a debita distanza: il suo viso da sfinge, espressivo sì ma nei minimi dettagli, costruito per sottrazione, non si percepisce mai nei suoi percorsi emotivi. Guardando Futura si ha una gran voglia di avvicinarsi ai lui e a tutti gli altri personaggi, si percepisce da loro (grazie alla storia e ai dialoghi) una certa profondità: si vuole, genuinamente, capire cosa pensano, accorciare le distanze, ma questa aspettativa viene in gran parte disattesa se non alla fine, dove effettivamente Sanfelice approccia di petto i suoi interpreti.

La regia ha i suoi momenti più espressivi, come nelle sequenze più oniriche o con le scelte di inquadrature di sbieco, dall’alto o con travelling più complessi. L’impressione, però, è che queste scelte particolari non siano mai dove debbano essere, che siano sempre un po’ in ritardo sui tempi della storia, fuori tono. La vera espressività che chi guarda richiede, insomma, è una non direttamente annunciata ma costruita passo passo, attraverso la pazienza. La poesia di Futura, ricercata solo ogni tanto con queste improvvise aperture, ne viene in questo senso penalizzata.

La frustrazione che ne deriva viene in parte colmata dalla componente musicale, di cui il film è pieno, che riempie di significato e profondità i momenti in cui tutte le altre stonano o risultano fin troppo banali. Guardando Futura non potrà che venire in mente il cinema di Damien Chazelle (Whiplash, La La Land, la serie The Eddy) dove il jazz è fondamentale non solo in scena ma come commento alla storia. Pensando a Chazelle viene inevitabilmente da pensare che se Futuraavesse lavorato di più in quello stesso senso, immettendo la musica anche ai margini, il risultato sarebbe stato ancora più potente e immersivo. O forse, invece, i limiti autoimposti di una regia così incatenata, di una ricerca fotografica troppo approssimativa e poco espressiva, non avrebbero permesso nemmeno alla musica di compiere questo salto in avanti.

Futura è quindi un film che potenzialmente racchiude tantissima poesia, che ha tutte le carte in regola per diventare qualcosa di forte ma che si perde in un bicchier d’acqua, mentre cerca di sorprendere senza accorgersi che quello di cui ha bisogno è proprio lì, sotto il suo naso, a qualche metro di distanza.

Cosa ne dite della nostra recensione di Futura? Scrivetelo nei commenti dopo aver visto il film!

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