Fullmetal Alchemist, la recensione del film

Abbiamo recensito per voi Fullmetal Alchemist, adattamento live action targato Netflix

Carlo Alberto Montori nasce a Bologna all'età di 0 anni. Da allora si nutre di storie: lettore, spettatore, ascoltatore, attore, regista, scrittore.


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Fullmetal Alchemist, poster

Gli adattamenti cinematografici in live action dei manga sono da sempre un territorio abbastanza pericoloso in cui addentrarsi, specialmente se tratti da serie di grande successo di cui esiste già un fandom pronto a fare le pulci al film e accusarlo di non essere all'altezza del prodotto originale; trattasi del diffuso fenomeno "Era meglio il libro!", che ovviamente riguarda anche i cinecomic, ma per i fumetti giapponesi la situazione solitamente è più complessa, soprattutto perché i budget difficilmente possono avvicinarsi a quelli dei grandi blockbuster hollywoodiani, andando così a limitare in primis gli effetti speciali e la resa visiva.

Spesso, i manga sono un prodotto seriale a lungo termine con una vicenda unica, per cui cercando di riassumere l'intera trama in un paio d'ore il risultato può risultare fedele ma anche superficiale. Ciclicamente si torna inoltre a parlare della questione etnica, con accese discussioni tra chi ritiene che questi film dovrebbero essere interpretati da un cast orientale e chi preferirebbe attori occidentali più vicini all'aspetto dei personaggi cartacei (nella maggior parte dei casi disegnati "con gli occhioni").

In qualche modo, il film di Fullmetal Alchemist è segnato da tutti questi elementi ma riesce a essere un prodotto apprezzabile, soprattutto per chi non conosce la serie originale e vuole scoprirla attraverso un rapido riassunto. Il fumetto di Hiromu Arakawa è stato uno dei più grandi successi degli anni Duemila, e pur rispettando molte caratteristiche del genere shonen si distingue per una trama più elaborata, scene violente e passaggi decisamente drammatici, oltre a presentare riflessioni filosofiche sull'identità dell'individuo e scelte etiche non banali.

Il protagonista è Edward Elric, l'Alchimista d'acciaio, appellativo che sottolinea il suo aver ottenuto un braccio e una gamba di metallo dopo la perdita dei due arti, quando era un bambino, in un pericoloso esperimento alchemico; tentava infatti di riportare in vita la defunta madre, ma l'operazione non ha avuto successo, e per impedire che morisse anche il fratello minore, Alphonse, ha catturato la sua anima all'interno di un'armatura. I due intraprendono quindi un viaggio in giro per il mondo alla ricerca della pietra filosofale, un prezioso oggetto in grado di aumentare i loro poteri, cosa che gli permetterebbe di tornare in possesso dei corpi originali.

Il regista Fumihiko Sori riesce a riproporre l'atmosfera dell'opera originale grazie a scenari affascinanti e momenti ispirati. Le riprese della prima parte sono state effettuate a Volterra, un'ambientazione suggestiva che ricrea i paesaggi dall'estetica europea presenti nel fumetto. Risulta però bizzarro vedere per le strade di questi paesini un cast interamente giapponese, comparse comprese, a conferma del paradosso etnico di cui sopra.

La trama ripercorre i primi volumetti del manga semplificando molti passaggi ed escludendo diversi personaggi, ma il nucleo principale dell'opera è ben presente; un risultato raggiunto anche grazie a scene emotivamente potenti, come i litigi tra Edward e Alphonse, la commovente storia di Nina e Alexander e, in generale, la sensazione di familiarità che si respira a casa del tenente Hughes: sono sufficienti singole inquadrature efficaci o scambi di sguardi tra i personaggi per trasmettere i sentimenti su cui è poggia l'intera avventura.

L'attore protagonista Ryosuke Yamada è una popstar nipponica e, nonostante sfoggi un'energia in grado di restituire al contempo l'ingenuità e la grinta del personaggio, quando si trova a dover affrontare momenti emotivamente più impegnativi non riesce a supportare la gravità del ruolo attraverso la sua recitazione.

La figura di Winry risulta invece sacrificata già in fase di scrittura: nonostante la sua sia una presenza costante nel film, la sceneggiatura sembra considerarla una semplice spalla femminile che agisce poco e si limita a reagire alle azioni dei protagonisti.

L'interprete Tsubasa Honda riesce a sostenere la componente più seria del personaggio ma quando è alle prese con scene umoristiche, come i numerosi battibecchi con Alphonse, denota una recitazione sopra le righe che pare voler emulare in modo innaturale i personaggi disegnati.

In generale, i comprimari rendono giustizia alle controparti cartacee; non era affatto scontato riuscire a mantenere il fascino di Roy Mustang (purtroppo privato del suo umorismo) o rendere in live action gli homunculus.

Le dichiarazioni di Sori durante la campagna promozionale presentavano Fullmetal Alchemist come un film unico, ma è evidente che il finale invochi a gran voce un seguito; l'epilogo, infatti, non può risultare soddisfacente per chi non conosce la trama del manga, anche perché la storia si conclude senza una vera e propria risoluzione.

In Giappone il film è uscito nelle sale ottenendo un buon risultato al botteghino, per poi essere distribuito in tutto il mondo su Netflix, quindi al momento è auspicabile vedere un sequel (o due) in grado di completarne la vicenda. Nel frattempo, questo primo lungometraggio può essere considerato un buon modo per far scoprire il fumetto originale a chi ancora non lo conoscesse.

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