Fuller House (prima stagione): la recensione

Fuller House, revival di Gli amici di papà trasmesso da Netflix, non funziona: una comedy troppo vecchia, che oggi non ha nulla da dire

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Affrontare la visione del revival di Full House significa fare un tuffo negli anni '90 e questo, una precisazione s'impone dato il possibile malinteso, non è affatto un complimento. Anzi, tra tutti gli obiettivi che Fuller House si pone senza raggiungere, primo fra tutti quello di far ridere lo spettatore, ha l'indubbio merito di riuscire a farci apprezzare il livello medio della televisione di oggi rispetto a ciò che era lo standard delle comedy di venti anni fa. E non sono tanto le componenti tecniche a infastidire, e considerato il livello medio di interpretazioni e scrittura vuol dire molto, quanto il totale scollamento della serie dall'universo televisivo in cui è calata. Qualcuno forse immaginava che l'effetto nostalgia potesse bastare a giustificare l'idea, ma la sofferta visione dei tredici episodi su Netflix racconta un'altra, triste storia.

Una storia che in effetti inizia nel 1987, quando sulla ABC inizia ad andare in onda, proseguendo per sette stagioni, Full House, da noi noto come Gli amici di papà. Dopo uno iato di quasi venti anni, e orfano della partecipazione di Mary-Kate e Ashley Olsen, uniche nel cast originale a non ritornare, lo show riparte come Fuller House, da noi ribattezzato Le amiche di mamma. L'idea è di ribaltare in chiave femminile quella che già in originale era una famiglia molto allargata. D.J. Tanner, vedova e madre di tre figli, deve affrontare per la prima volta la sfida di vivere da sola, data la partenza di padre, fratello e conoscenti vari. Rimangono quindi la sorella Stephanie e Kimmy, la vicina di casa impicciona parcheggiata 24/7 a casa loro, divorziata e con una figlia di nome Ramona. Completano il quadro i tre figli sopracitati Jackson, Max e Tommy.

È difficile spiegare l'effetto straniante che accompagna durante la visione del lungo primo episodio, che dura 35 minuti. Nelle puntate successive subentra una certa abitudine, ma l'impatto è frustrante a più livelli, e nulla nel proseguimento della visione ci ripagherà. Anzi, per certi versi, e per selezionati nostalgici della serie madre (o padre, in questo caso) la parte migliore dovrebbe arrivare proprio in principio, quando la curiosità di ritrovare vecchi personaggi, gustarsi qualche frecciata alle Olsen, giocare sul confronto con il passato, dovrebbe dare una spinta in più al progetto. La spinta, se arriva, è una retromarcia che intrappola la serie in una bolla temporale dalla quale non riesce mai ad uscire, dalla quale non tenta nemmeno mai di uscire.

Fuller House, senza giri di parole, è televisione vecchia, oggi insostenibile. Le interpretazioni costantemente sopra le righe, i dialoghi irreali, le battute semplici e scontate, i "conflitti" inesistenti così come qualunque accenno di realismo, l'approccio "moraleggiante" che deve ricondurre tutto ad una lezione da apprendere tra abbracci generali e riunioni di famiglia, qui sono la regola. Perché oggi non funzionano? Al di là di qualunque considerazione sul valore più o meno oggettivo di certi prodotti degli anni '80 e '90 (mettendo da parte la nostalgia e i ricordi nebulosi, oggi serie come Genitori in blue jeans, Crescere che fatica, Otto sotto un tetto sarebbero improponibili), forse siamo noi ad essere cambiati in primo luogo come spettatori, e non è un fatto tanto di età quanto di disillusione.

I Simpson ne sono l'esempio vivente in quanto unica serie ad aver attraversato questo periodo e ad essere in onda ancora oggi, e basta uno sguardo veloce ai mutamenti intervenuti nei suoi 27 anni di produzione a capire come loro stessi sono cambiati, diventando nel tempo più simili ai loro cugini di Family Guy. Un certo buonismo, la capacità di ricondurre il singolo episodio alla lezione da apprendere nel sacro luogo della famiglia – allargata o meno che sia – senza aspettarsi un ribaltamento degli stereotipi, riferimenti alla cultura pop, una generale parodia (e non è un caso che circa un anno fa sia uscito il video Too Many Cooks) oggi non funziona.

E se questo discorso suona come una difesa di una serie che avrebbe avuto solo la sfortuna di uscire fuori tempo massimo, ridimensioniamo il tutto: in tredici episodi Fuller House non dimostra mai di volerci credere o almeno di voler provare. Data anche la generale alta qualità dei prodotti originali Netflix, questo si piazza senza difficoltà agli ultimi posti.

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