Fuga in Normandia, la recensione
Fuga in Normandia è un film non memorabile ma importante, perchè segna l'addio al cinema di due giganti come Michael Caine e Glenda Jackson.
La recensione di Fuga in Normandia, l’ultimo film con Michael Caine e Glenda Jackson, al cinema dal 19 giugno.
Nel 2014 un pensionato ultraottantenne inglese di nome Bernard Jordan fece il giro dei telegiornali per essere evaso dalla casa di riposo dove viveva con la moglie. Il motivo: imbarcarsi su un traghetto per la Francia e partecipare alle celebrazioni per il settantesimo anniversario dello Sbarco in Normandia, a cui da giovane aveva partecipato. Da qui lo sceneggiatore William Ivory lavora in due sensi: cercando di rendere più tridimensionale possibile la figura di Bernard (Caine) che nel film non è mosso solo dal patriottismo ma dal senso di colpa per un commilitone caduto in battaglia; e innestando sulla sua storia (che tocca temi come la memoria e l’istituzione britannica) un tributo mai esibito ma evidente al grande attore inglese.
Anche se non fosse il “loro” film Caine e Jackson sarebbero comunque il motivo principale per guardarlo. Un dialogo ordinario è tale solo finché non entrano in scena due attori del genere. Caine per fortuna ha conosciuto infinite giovinezze (pensiamo solo alla sua collaborazione con Nolan) e quindi il suo stile è rimasto familiare anche alle generazioni più recenti, che hanno potuto apprezzarne il minimalismo, l’ironia e l’eleganza. Jackson – che dopo i due Oscar vinti negli anni ‘70 si era dedicata alla politica con i laburisti di Blair – è tornata al cinema solo nel 2021, dopo venti anni di assenza dallo schermo. Fuga in Normandia può valere la pena anche solo per riscoprire la sua recitazione, perfettamente intatta in un ultimo ruolo che – come sanno fare solo i grandi – lavora su dettagli e microespressioni fino a fare di un personaggio banale un essere umano.