Fuga in Normandia, la recensione

Fuga in Normandia è un film non memorabile ma importante, perchè segna l'addio al cinema di due giganti come Michael Caine e Glenda Jackson.

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La recensione di Fuga in Normandia, l’ultimo film con Michael Caine e Glenda Jackson, al cinema dal 19 giugno.

Capita che i film siano importanti per ragioni che non appaiono a schermo. Con un altro cast Fuga in Normandia sarebbe stato l’ennesimo prodotto da “tv della qualità” britannica: ne avremmo discusso la fattura (discreta), la recitazione (ottima), la curiosità della storia che racconta. E più o meno sarebbe finita lì. Invece ci troviamo davanti il film-commiato di non una ma due leggende. Sir Michael Caine (89 anni al momento delle riprese) che ha annunciato il pensionamento dopo quest’ultimo lavoro. E Glenda Jackson (86 durante il film) che se n’è andata poco dopo le riprese. In un commovente caso di sovrapposizione, quello che era stato pensato come l’addio annunciato di Caine diventa a posteriori anche il tributo a Jackson. Il film non può che essere letto in questa luce.

Nel 2014 un pensionato ultraottantenne inglese di nome Bernard Jordan fece il giro dei telegiornali per essere evaso dalla casa di riposo dove viveva con la moglie. Il motivo: imbarcarsi su un traghetto per la Francia e partecipare alle celebrazioni per il settantesimo anniversario dello Sbarco in Normandia, a cui da giovane aveva partecipato. Da qui lo sceneggiatore William Ivory lavora in due sensi: cercando di rendere più tridimensionale possibile la figura di Bernard (Caine) che nel film non è mosso solo dal patriottismo ma dal senso di colpa per un commilitone caduto in battaglia; e innestando sulla sua storia (che tocca temi come la memoria e l’istituzione britannica) un tributo mai esibito ma evidente al grande attore inglese.

Non fosse per questo aspetto Fuga in Normandia non si farebbe ricordare né in positivo né in negativo. È semplicemente un film come mille altri della tradizione media inglese, con quel mix di grande professionalità – soprattutto attoriale – simpatia, e un pelo di conservatorismo da poltrona (specie nei confronti inter-generazionali) che può scaldare il cuore, ma non farà mai niente per sovvertire le aspettative. La narrazione alterna senza sorprese l’avventura di Bernard e il punto di vista della moglie (Jackson) che gli copre la fuga, i ricordi della guerra e quelli della loro storia insieme. Ma gli unici guizzi li trova metacinematograficamente, quando Bernard contempla la spiaggia dove avvenne lo Sbarco e noi capiamo che in quel momento a riflettere sul (suo) passato è Michael Caine.

Anche se non fosse il “loro” film Caine e Jackson sarebbero comunque il motivo principale per guardarlo. Un dialogo ordinario è tale solo finché non entrano in scena due attori del genere. Caine per fortuna ha conosciuto infinite giovinezze (pensiamo solo alla sua collaborazione con Nolan) e quindi il suo stile è rimasto familiare anche alle generazioni più recenti, che hanno potuto apprezzarne il minimalismo, l’ironia e l’eleganza. Jackson – che dopo i due Oscar vinti negli anni ‘70 si era dedicata alla politica con i laburisti di Blair – è tornata al cinema solo nel 2021, dopo venti anni di assenza dallo schermo. Fuga in Normandia può valere la pena anche solo per riscoprire la sua recitazione, perfettamente intatta in un ultimo ruolo che – come sanno fare solo i grandi – lavora su dettagli e microespressioni fino a fare di un personaggio banale un essere umano.

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