Fringe 5x11 "The boy must live": la recensione

Commento al penultimo appuntamento con Fringe, che svela la verità sugli Osservatori e cambia uno degli elementi della mitologia della serie...

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The boy must live: quattro semplici parole che rimettono in discussione quasi 98 puntate, cinque stagioni, una serie intera. Diciamocelo, Fringe non è mai stato il massimo in fatto di progettualità né di elaborazione a lungo termine e anche ora, ormai alle soglie del traguardo finale, ha deciso di rimanere, almeno da questo punto di vista, coerente con se stesso, con una brusca revisione di quello che poteva essere considerato come uno dei pilastri fondamentali della serie. Annullate le vostre emozioni, ponetevi in una posizione esterna e razionale, diventate degli Osservatori: solo così potrete capire, perdonare e, forse, apprezzare la scelta degli autori di spostare tutte le aspettative da Peter, come ripetutoci fin dall'inizio, a Michael, che si rivela invece essere il vero elemento centrale della storia.

Perché il linguaggio televisivo è difficile da gestire, perché non è semplice arrivare ad un'ultima stagione con un simile carico di aspettative, perché Fringe, al contrario di altre produzioni che, arrivate all'ultima stagione, si sono accorte di avere un bagaglio di misteri e domande troppo vasto per poter essere risolto, è riuscito, anche grazie a quest'ultima puntata, a far quadrare gran parte dei conti, e questo anche di fronte ad una costante insicurezza e alla minaccia di una cancellazione che per lungo tempo lo ha penalizzato. Così come gli Osservatori non erano nessuno, nella mente degli autori, al momento della loro apparizione sullo schermo cinque anni fa, così anche lo stesso Peter, malgrado negli anni ci si sia riferiti sempre a lui a proposito della famosa frase pronunciata da September, alla fine, venuto il momento di fare i conti e di assegnare ad ognuno il giusto posto nella vicenda, si rivela una "semplice" parte all'interno della storia.

Questa bella, riflessiva e chiarificatrice penultima puntata di fatto non smuove molto le acque, se non per l'evento finale, dal punto di vista della storia. È invece quasi totalmente focalizzata sullo svelamento di una serie di nodi centrali della trama non ancora chiari: su tutti appunto la genesi degli Osservatori, finalmente comprensibile, il ruolo di Michael, appunto, e la natura del famoso piano di Walter e September. Tutto si riduce all'ampia parentesi centrale dell'episodio, un lungo dialogo a quattro con Donald: da un lato la musica (anche nella scelta del nome da parte di September), che qui simboleggia le emozioni e i sentimenti in contrapposizione con la freddezza, dall'altro una "bella" visione del futuro in cui tramite Windmark – da un paio di puntate a questa parte più umano del dovuto – vediamo il mondo del 2600.

La mente corre a What They Died For, una delle ultime puntate di Lost, e ad un bel dialogo intorno al fuoco nel quale veniva gettata, non completamente, luce, su alcuni degli elementi cardine della trama in vista del gran finale. Fringe ha qui creato il suo personale What They Died For, come ci ricorda il commento di Peter rivolto a Donald: "We've lost a lot. A lot of good people sacrifice themselves to get us to you".

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