Fresh, la recensione

Calato nel panorama sociale contemporaneo, Fresh di Mimi Cave usa la metafora cannibale per portare alle estreme conseguenze le sue riflessioni sulla diffusa tossicità relazionale che contraddistingue i giovani adulti

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La recensione di Fresh, dal 15 aprile su Disney+

Stiloso e accattivante, poi crudo e spietato: Fresh è tutto queste cose - proprio in quest’ordine - e lo è in modo così rigido e preciso da sembrare come tagliato a metà con l’accetta (e in effetti…). 

Partendo dalle premesse di una commedia romantica, che occupa tutta la prima parte del film (ma che semina già una buona dose di creepiness attraverso suggestioni microscopiche e ben costruite) la regista esordiente Mimi Cave crea infatti le sue solide basi di credibilità e di stile per potersi poi liberare nella sua vocazione orrorifica. Ecco allora che Fresh si rivela in ciò che più gli piace (la voglia di fare genere è forte e pulsante) ma che più lo depista dai suoi obiettivi, diventando un horror sì di grande stile ma sempre indeciso tra l’enunciazione spietata dell’orrore e la sua normalizzazione più “pop” e accogliente.

Calato nel panorama sociale contemporaneo, Fresh usa la metafora cannibale per portare alle estreme conseguenze le sue riflessioni sulla diffusa tossicità relazionale che contraddistingue i giovani adulti, spesso assuefatti a relazioni deleterie solo perché mascherate da pratiche condivise (le app di dating online). Incarnazione di questa generazione disillusa e autodistruttiva è Noa (Daisy Edgar-Jones), una ragazza senza affetti stabili - se non la migliore amica Molie (Jonica T. Gibbs) - che dopo un appuntamento al buio deludente incontra per caso, al supermercato, il misterioso e affascinante Steve (Sebastian Stan). Tra i due scoppia un’intesa istantanea, dolce e sensuale: ma dall’apparizione dell’”uomo fatale” la regista Mimi Cave ci avverte, con un notevole gioco di sospetti ed esitazioni, che qualcosa forse potrebbe andare parecchio storto…

Quello che ne segue è un percorso fin troppo ambiguo - non moralmente ma proprio a livello di comprensibilità - di fascinazione di Noa verso “il male”, qualcosa che la protagonista aspira a conoscere (anche solo per trovare dei perché razionali a quello che le succede) ma di cui non si capisce mai l’intensità o il segno di attrazione. Mantenendo la bella patina di film indie esteticamente piacevole, Fresh trova il perturbante solo qua e là, in giochetti di contrasto tra visivo e musicale (musica leggera vs immagini crude, un grande classico pur sempre efficace); nella relazione di dipendenza tra Noa e Steve invece, giocata sul doppio binario della sopravvivenza e della curiosità affascinata, forse falsa forse genuina, Mimi Cave pur tenendo sempre alto il ritmo e il coinvolgimento si gioca in modo troppo frettoloso le conseguenze teoriche, svuotando il genere delle potenzialità riflessive che pure ben prometteva di avere.

Esplicitato e quindi normalizzato nell’ordine di ciò che è possibile, il cannibalismo non viene però davvero mai mostrato: esiste come paura fuori campo, come arto mancante, o come pasto già lavorato e confondibile. È una scusa narrativa, appunto una metafora, che però non mostrandosi mai e non portando la sua componente disturbante fino in fondo non sa come compiersi, come risolvere tutte le premesse iniziali su ciò che è socialmente accettabile fare, vedere, praticare. Il dilemma tra autenticità perversa e inquadramento tossico nella regola è irrisolvibile ma può essere discutibile: Fresh ne sembra invece esso stesso così terrorizzato da richiuderlo presto in un cassetto, dedicandosi solamente al divertimento di genere. Decisamente avvincente, ma non proprio il modo migliore per affrontarlo.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Fresh? Scrivetelo nei commenti!

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