Freaks Out, la recensione | Venezia 78

Freaks Out è Il primo vero grande blockbuster fantastico della storia del cinema italiano che possa dirsi riuscito

Critico e giornalista cinematografico


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Freaks Out, la recensione | Venezia 78

È la cosa più rara e preziosa in assoluto avere il privilegio di andare in una sala cinematografica, vedere un film e realizzare di aver assistito a qualcosa che mai era stato fatto prima. Una prima volta.

Capiterà a chiunque dal 28 ottobre andrà a vedere Freaks Out e assisterà al primo vero, grande blockbuster fantastico della storia del cinema italiano che possa dirsi pienamente riuscito. Sei anni fa Lo chiamavano Jeeg Robot era un film indipendente girato con poco (per i valori produttivi che esibiva) su una storia di periferia, questo di oggi è un film gigante pensato con una foto incorniciata del giovane Steven Spielberg sul comodino, cioè con quell’idea lì di avventura, intrattenimento, spettacolo e di tutti i personaggi in cerca in qualche modo di una figura paterna (ma anche quell’idea lì fumettosa dei nazisti).

Ci sono 10 minuti senza parole all’attacco, 10 minuti di racconto per immagini in cui veniamo introdotti ai personaggi e a quello che sanno fare, poi un bombardamento selvaggio in cui scopriamo che questo film non ha nessuna paura del sangue e dalle macerie e infine lo stacco secco che dice tutto su un quadro di Hitler. Il linguaggio del cinema.

Freaks Out è un film di corpi mutati, arti che mancano, guerrieri mutilati e gente impazzita per la guerra e le ideologie, capace di trasformare tutto quello che tocca in intrattenimento e rimetterlo in scena trasfigurando la Roma del 1945 in una immaginaria, piena di meta-umani con poteri, nessuno dei quali intenzionato a fare chissà cosa (sono proprio romani!). Solo un nazista ne è ossessionato, li raduna tutti nel suo circo perché ne sta cercando 4 in particolare, cioè i nostri protagonisti.

freaks out

Come sempre in Guaglianone e Mainetti l’impianto è di una semplicità disarmante e le ispirazioni oscillano tra l’Italia, l’America e (nel finale) il Giappone. Dentro una struttura molto convenzionale i due costruiscono un film strano e diverso da tutto, che sorprende ogni volta ed è pieno di umorismo. Uno che come per Jeeg ha il punto di forza in un villain complicato, con problemi grossi tanto quanto quelli dei protagonisti, i quali hanno come unica soluzione proprio trovare loro 4 e averli sotto il suo controllo. Del resto è uno script del miglior Nicola Guaglianone a briglie sciolte, che fa un passo indietro sul lato del commento sociale rispetto a Jeeg e uno in avanti su quello dell’umanità, valorizzato al massimo dalla chiarezza spielberghiana con cui Gabriele Mainetti sceglie di ingrandire lo stile di Lo chiamavano Jeeg Robot, sempre funzionale alla storia, sempre tecnica (il grande scontro finale è un delirio eccezionale che porta avanti 4 trame insieme con un montaggio che impressiona per ritmo, chiarezza e complessità), al servizio dello spettacolo ma anche fermamente impuntata sul trovare una dolcezza semplice nei personaggi.

Freaks Out fa tutto quello che i blockbuster americani facevano e hanno smesso di fare. È duro, è violento, è pieno di desiderio sessuale, è sfacciato, libertino e vuole bene a ogni singolo personaggio, nessuno escluso. Anche Max Mazzotta, a cui tocca il ruolo della vita (fino ad ora) e che sembra anche averlo capito chiaramente, avrà un momento di grande umanità nella furia finale. Sono pochi secondi ma più che sufficienti in un film che in più punti ha così tanta fiducia nel pubblico da far avvenire le cose in pochissime inquadrature, e sono pochi secondi che spiegano la capacità di dirigere gli attori di Mainetti. Chi l’avrebbe mai detto che il primo blockbuster fantastico della storia del cinema italiano avrebbe compreso Giorgio Tirabassi in un ruolo cruciale? E invece è una delle scelte di casting migliori.

freaks out

Mainetti si conferma uno dei pochi registi italiani che davvero crede nella forza dell’audiovisivo di evocare mondi lontani. Così non c’è nessuno stupore nel vedere che anche all’interno della storia di Freaks Out mondi lontani sono evocati proprio dando a delle visioni la forma del video proiettato come su schermo (digitale peraltro!). È il cinema e il video quello che ci informa, ci esalta, ci racconta e indirizza le nostre vite. Assieme a Nicola Guaglianone, Mainetti padroneggia perfettamente la mitologia fantastica (solo i poteri deboli non hanno controindicazioni, mentre quelli forti sono anche una maledizione) e per questo, i due possono permettersi di rimescolarla, scomporla, sovvertirla e usarla per scrivere sopra all’altra grande mitologia italiana (quella neorealista, mai evocata direttamente ma sempre lì nel retro della testa di tutti quando si vede Roma nel 1945) un capitolo nuovo non certo della storia ma del cinema italiano. Quello sì.

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