Forte, la recensione

Puntando tutto sulla sua protagonista, Forte prova a trovare in Melha Bedia la soluzione ad ogni problema ma ovviamente non può essere così

Critico e giornalista cinematografico


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Ci sono le migliori intenzioni umane e sociali dietro Forte e purtroppo proprio le migliori intenzioni spesso portano agli esiti peggiori.

Tutta questa commedia francese inclusivissima e desiderosa di battersi contro body shaming e marginalizzazione dei corpi che non rispondono ai consueti canoni, gira intorno a Melha Bedia, al suo corpo e al personaggio che ha costruito fuori dal cinema. Lei è una ragazza con un passato da calciatrice nel PSG femminile, corpo fuori forma, gran parlata e atteggiamento da strada. Ha avuto successo in Francia come comica (tra le altre cose) e si capisce che il film vuole sfruttare molto il suo umorismo, tanto che lei risulta anche sceneggiatrice, umorismo che ironizza molto sul corpo e sulla sua scarsa femminilità. Il tutto in una storia pleonastica di una protagonista che deve conquistare la femminilità, cioè deve aderire ai canoni che la società impone perché pensa che così sarà felice.

La materia per far film c’è. L’idea centrale che a noi non dice nulla ma deve avere un appeal in patria è che per diventare più femminile il personaggio protagonista di Forte interpretato da Melha Bedia voglia imparare la pole dance. È un contrasto tipico da commedia moderna: la persona inadeguata che vuole fare quel che non si direbbe che può fare. Intorno a lei amici e conoscenti devono accettare ed accettarsi.
Il materiale migliore di Forte tuttavia è Melha Bedia, perché ha davvero un fisico fuori dai percorsi battuti dal cinema e un modo di muoversi particolarissimo. Nonostante la massa è agile (lo vediamo quando gioca a calcio) e non somigliando per nulla né alle attrici, né alle aspiranti attrici, ha un repertorio di espressioni tutto suo.
Insomma Malha Bedia ha la forza delle migliori non-attrici: si muove, parla e ha facce dotate dell’imprevedibilità di chi le ha formate vivendo e non studiando.

A mancare allora è proprio il film. L’umorismo latita sempre, non è mai ficcante e quanto peggio è lasciato, anzi proprio delegato, alla protagonista e alle battute che fa. Come in una pessima commedia italiana. Non c’è nessuna voglia di fare un film che abbia la capacità di ribaltare situazioni o trovare incastri, intrecci o ancora svolte che usino l’ironia per prendere di sorpresa. Né tantomeno Katia Lewkowicz (di professione attrice, qui regista) sembra avere la capacità di concepire una messa in scena di commedia che vada oltre inquadrare chi sta parlando.

Quindi una volta impostata la storia, illustrati i personaggi e messo la protagonista alle prese con la pole dance, Forte inizia gradualmente a perdere spinta. A quel punto subentra la disperazione, il tentativo agonizzante di arrivare ad un finale con la medesima originalità dello spunto.
Trovare un senso ad una storia convenzionale con una protagonista meno convenzionale, rispettando le buone intenzioni e lo spunto inclusivo senza però esagerare con le implausibilità, è per sceneggiatori e regista uno sforzo titanico, specie vista la loro scarsa capacità e stimolo. Fa male al cuore assistere al lento deragliare del tutto, ma è anche l’unica maniera per svicolare la noia che altrimenti il film dispenserebbe a pacchi.

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