Fortapàsc

1985: vita, articoli e morte del giornalista Giancarlo Siani, ucciso dalla camorra per i suoi pezzi scomodi. Il regista Marco Risi e il protagonista Libero De Rienzo sono sinceri, ma non convincono...

Condividi

Recensione a cura di ColinMckenzie

TitoloFortapàscRegiaMarco Risi
Voci originali
Libero De Rienzo, Ivano Marescotti, Michele Riondino, Gianfelice Imparato, Valentina Lodovini, Ennio Fantastichini, Salvatore Cantalupo
Uscita27 marzo 2009 

Fortapàsc, per tanti motivi, era un film importante. Marco Risi doveva farsi perdonare le bassezze raggiunte con Maradona, la mano de Dios, per cui gli aggettivi terrificante ed esilarante potevano essere utilizzati nella stessa frase. Libero De Rienzo tornava davanti alla macchina da presa cinematografica dopo ben tre anni. E, in generale, questo è il classico titolo su cui poi verteranno (anche ingiustamente) molte discussioni sullo stato di salute del nostro cinema.

Come spesso accade, le intenzioni sono sicuramente positive. Una storia di denuncia di una realtà che ancora adesso è predominante in quelle zone e allo stesso tempo il ricordo di un giornalista-giornalista, con la schiena diritta anche grazie al fatto di lavorare sul territorio e non soltanto in redazione. Purtroppo, se la strada per l'inferno è lastricata di buone intenzioni, anche quella per il purgatorio (cinematograficamente parlando) non deve essere molto differente.

Partiamo dall'elemento fondamentale. Quando si prende una storia del genere, l'attore protagonista è fondamentale. Cosa sarebbe Milk senza Sean Penn? O Serpico senza Al Pacino? Libero De Rienzo non è certo da stroncare completamente, anzi in certi momenti trova una genuinità e innocenza del suo personaggio ammirevoli. Ma un paio di cose sono veramente gravi. La prima è che, tra interprete e regista, non si è deciso come far parlare il Siani sul grande schermo. Inizia con una pessima voce off (che ogni tanto ritornerà, purtroppo) in cui non c'è una minima traccia di accento campano. Nella scena seguente, De Rienzo si sforza di parlare napoletano, ma con risultati poco convincenti, per poi portare avanti un accento chiaramente romano, con qualche parolina locale (vabbuo o cose simili). E' questa superficialità (che in America difficilmente potrebbe avvenire) che rovina film importanti e che rende poco convincenti certi progetti. Anche perché, sempre in un eccesso di indecisione, protagonista e regista non riescono a stabilire bene quale Siani mostrare.

Ogni tanto, si passa da fasi di comicità del protagonista quasi eccessive a momenti di simildepressione. Per carità, si potrà dire che un uomo così giovane aveva dei normali alti e bassi, ma qui il vero problema è che i due piani non si conciliano bene insieme e abbiamo l'impressione di vedere due personaggi diversi. Inoltre, il Siani che vediamo sullo schermo sembra quasi una foglia al vento, che capita sugli scoop per caso e non ha l'energia sufficiente per conquistare veramente il pubblico. Di sicuro, il film non aiuta veramente a capire le ragioni per cui è stato ucciso, tanto che il pressbook è molto più utile a questo riguardo di quanto non sia la pellicola.

In generale, anche gli altri personaggi del film puntano sulla retorica e sul didascalico. Il maresciallo è deciso e parla come se dovesse sempre dare lezioni; il magistrato nasconde qualcosa, ma vuole far capire che bisogna procedere in un certo modo; il responsabile dell'Osservatorio sulla Camorra fa gli schemini sulla lavagna. Nulla di sconvolgente, ma più che vedere delle persone in carne e ossa, abbiamo l'impressione di dover sempre ricevere una lezione su qualche cosa. E se nei loro casi la macchietta è fortunatamente evitata, non si può dire lo stesso dei camorristi, che risultano francamente degli stereotipi da operetta, senza neanche lo sberleffo geniale (e critico) de I Soprano.

Inoltre, è difficile capire la gestione di alcune sottotrame che riguardano il protagonista. Il suo amico (interpretato da Michele Riondino) non serve praticamente a nulla e considerando che è anche un personaggio inventato, è difficile comprendere perché non sia stato sfruttato per ragioni migliori. Discorso analogo va fatto per la fidanzata incarnata da Valentina Lodovini, che si comporta in maniera poco convincente nel contesto della pellicola. L'impressione è che Risi avrebbe voluto scavare maggiormente nella vita privata di Siani, ma che poi abbia deciso di dare solo degli accenni che alla fine forniscono un quadro sommario e poco coerente. Di sicuro, quello che veramente non convince sono i dialoghi, spesso innaturali e troppo forzati.  

Peccato, perché alcune cose buone su cui puntare c'erano. La scena che coinvolge il boss Valentino Gionta e il suo luogotenente è una piccola sorpresa, che in un racconto che va avanti senza scossoni è un'idea efficace. Così come non sarebbe stato male analizzare meglio un certo clima popolare favorevole alla camorra, ben evidente nella prima parte della pellicola. Tuttavia, per qualche momento interessante c'è sempre qualche sequenza (penso soprattutto all'incontro con gli studenti) che viene realizzata in maniera scialba e poco convincente.

In tutto questo, va detto che il regista evita di puntare su facili effetti ricattatori. In realtà, è presumibile che invece a essere ricattatori saranno certi critici-impiegati, che ovviamente ci vorranno convincere che è un dovere civile vedere pellicole come queste, anche se la qualità spesso latita. Purtroppo per Fortapàsc, qui non c'è un libro di enorme successo come Gomorra alle spalle ed è difficile pensare che il film diventi un fenomeno come quello di Garrone. E se un passo avanti rispetto al precedente Maradona, la mano de Dios è innegabile, il regista di Mery per sempre sembra non esserci più...  

Continua a leggere su BadTaste