For All Mankind (prima stagione): la recensione

La prima stagione di For All Mankind muove i passi da un affascinante what if per offrire uno sguardo singolare sulle intenzioni dietro la corsa allo spazio

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Ci sono due principali differenze tra il mondo in cui viviamo e il mondo raccontato da For All Mankind, la cui prima stagione si è recentemente conclusa sulla piattaforma Apple TV+. La prima, ovviamente, è che l'Unione Sovietica riesce ad approdare sulla Luna. Nessun accenno ai fallimenti catastrofici dei razzi N1, protagonisti di ben quattro mancati lanci dal 1969 al 1972.

L'altra grande differenza è rappresentata dall'astronauta Ed Baldwin (Joel Kinnaman), tra i personaggi principali della serie, ossia colui che asserisce, di fronte a una giornalista, che la NASA sia stata troppo cauta dopo l'incidente dell'Apollo 1, costato la vita a tre astronauti. Secondo Ed, questa prudenza è stata alla base del successo spaziale dell'URSS.

Il risultato di tutto ciò è la decisione di accelerare i viaggi sulla luna e far salire a bordo anche una donna americana, a seguito dell’allunaggio di una sovietica poco dopo l’esperienza dell’Apollo 11. Baldwin ha il compito di addestrare la nuova classe di astronauti, che include la moglie del suo migliore amico e due personaggi basati su donne realmente esistite che hanno partecipato al programma Mercury 13.

Una degli astronauti è Molly Cobb (Sonya Walger), ispirata al pilota Jerrie Cobb. La sua frustrazione per il sessismo imperante nell’ambiente lavorativo, che aveva condotto alla sua espulsione e quindi al suo provvidenziale reintegro nel programma spaziale, si va a incastrare con le intime ambizioni di Baldwin e la porta a svolgere una missione rischiosa e non autorizzata, che costituisce uno degli snodi di questa prima stagione.

Va detto che For All Mankind impiega qualche puntata a ingranare. I primi episodi trascurano fin troppo tanto le implicazioni politiche della trama quanto la nuova classe di astronauti. Bisogna arrivare alla fine del terzo episodio per poter apprezzare appieno la costruzione drammatica in atto e le ambizioni narrative di questo affascinante what if?, che mostra un immaginario lato della Guerra Fredda cui, pur consci dei reali eventi storici, non fatichiamo a credere.

Un elemento centrale della serie è il modo in cui la sua scrittura ci costringe a riconsiderare la nostra nozione di NASA, figlia di anni e anni di notiziari e film (documentari o meno) sull’argomento. L’idea della corsa allo spazio che ci è stata restituita dai discorsi presidenziali e da un certo cinema velatamente celebrativo va in crisi con questa prima stagione.

L’eccezionalità del lavoro svolto dagli astronauti, degna della massima ammirazione, non sminuisce il fatto che la NASA e il suo programma spaziale siano nati fondamentalmente dal desiderio di vincere la Guerra Fredda. Si trattò un'operazione distintamente militare, presidiata da piloti bellici, e non ha mai perso questa sua connotazione col passare degli anni.

Questo aspetto è messo bene in chiaro in ogni singolo episodio di For All Mankind. Siamo di fronte a una serie dolorosamente consapevole di quale sarebbe l'obiettivo per una NASA degli anni '70 con una stazione sulla luna. Ci viene costantemente ricordato, attraverso discorsi sulle armi nucleari e sulla catena di comando.

Inoltre, non dimentica le molte falle della NASA in termini di gestione dei rapporti col pubblico. Quando un ex pilota bianco diventato astronauta tenta di trovare un terreno comune con un soldato nero tornato dal Vietnam, la serie non manca di ricordare che, anche se prendere parte alle missioni spaziali è un compito per certi versi terrificante, è anche un enorme privilegio.

For All Mankind è anche pienamente consapevole del ruolo delle donne nella società anni ‘60. Vediamo infatti le mogli degli astronauti prendere ispirazione da ogni attrice di fama per imitarne il look; una di loro diventa astronauta ella stessa, mentre l’altra resta relegata al suo ruolo di sposa; entrambe le loro vite vengono esplorate con grande sensibilità dalla serie, che ne sottolinea i diversi ma comunque rilevanti ostacoli emotivi.

Da un lato, analizza la situazione - tanto cara al cinema - di chi si trova a vivere la preoccupazione di avere una persona cara nello spazio; dall’altro, segue l’odissea di chi viene improvvisamente catapultato nelle fila degli astronauti e si ritrova a competere con il proprio marito. Parallelamente, osserviamo un'America costretta a fare un corso intensivo di femminismo con qualche anno d’anticipo rispetto alla realtà.

La serie mette mette quindi in scena un paese diverso da quello che la Storia ci ha regalato, un paese che evolve a una velocità impressionante, con tutte le conseguenze del caso. Ecco dunque gli Stati Uniti che si ritirano dal Vietnam alcuni anni prima di quanto avvenuto nella realtà per concentrarsi sulla base lunare, e Ted Kennedy che batte Nixon alle elezioni, diventando il trentanovesimo presidente americano.

Il nuovo mondo delineato da For All Mankind è affascinante: il finale di stagione chiarisce come il cuore della serie sia proprio la volontà di costruire il nuovo sulla base del passato e scoprire chi si è veramente aprendosi al mondo. Sebbene si tratti di un obiettivo ancora difficile per alcuni personaggi, il rinnovo dello show per una seconda stagione fornisce a questi eroi del cosmo il tempo necessario per trovare la propria strada. Da parte nostra, non vediamo l’ora di vederli spiccare nuovamente il volo (reale o metaforico che sia) verso l’ignoto.

For All Mankind

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