Fondazione 2x10, "Miti della creazione" (finale di stagione): la recensione

Con un finale epico e struggente, Fondazione trova finalmente la quadra narrativa di una stagione altalenante

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Spoiler Alert

La recensione di Miti della creazione, episodio finale della seconda stagione di Fondazione disponibile su Apple TV+

“Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi.” Così Tomasi di Lampedusa, nel suo Gattopardo, parlava della necessità di adattarsi ai tempi per mantenere lo status quo. Un concetto che Miti della creazione, finale della seconda stagione di Fondazione, declina e dirama nel corso di un episodio tra i migliori che la serie Apple ci abbia regalato finora. Quanto si può sopravvivere perseverando in un ostinato immobilismo?

Gioco sotterraneo

Nell'alterno percorso di questo show di epiche ambizioni, pochi episodi brillano luminosamente come Miti della creazione, ultima gemma di una stagione spesso problematica per ritmo e diversa qualità delle diverse storyline. Con una sinfonia di colpi di scena e archi personali che rimbalzano l'uno sull'altro come stelle in collisione nell'immensità dell'universo, questa puntata ha il sapore di un autentico trionfo cinematico.

Miti della creazione è un gioco di strategie finemente concepito, dove ogni pezzo viene manovrato con precisione e ingegno. Assistere alla grande orchestrazione del piano di Hari Seldon (Jared Harris) che si dipana evoca la sensazione di vedere le prime pennellate su una tela, solo per rendersi conto in seguito che fanno parte di un ampio capolavoro. Nel grande gioco interstellare, la mossa geniale non è agire direttamente, ma guidare gli avversari a garantire involontariamente la loro stessa rovina, come falene verso una fiamma.

Coro tragico

Dal punto di vista attoriale, ogni singolo interprete ha dato il massimo per questo eccellente finale, ma Lee Pace, Ben Daniels e Dimitri Leonidas si sono distinti come pilastri titanici, ognuno risuonando con una gravità emotiva potente che struggente. La sinfonia delle loro interazioni e confronti, dal combattimento feroce ai momenti di più tranquilla introspezione, ricorda un mare in tempesta: mosso, imprevedibile e assolutamente affascinante.

L'interpretazione di Pace della rovinosa caduta di Giorno da imperioso detentore del potere a misero protagonista di una fine fredda e isolata è stata una lezione magistrale di recitazione. Mentre il suo regno si arrendeva alle crepe da lui disseminate, il ghiaccio dell'eterno Imperatore si incrinava per rivelare un individuo alle prese con la sua stessa umanità. Duro è stato l'addio ad altri due personaggi memorabili, uniti in un estremo, ironico brindisi: il Bel Riose di Ben Daniels è stato un'apoteosi di eroismo idealista, mentre l'Hober Mallow di Dimitri Leonidas delizia fino all'ultimo con il proprio fare scanzonato, un raggio di ottimismo contagioso che attraversa il buio circostante.

Evoluzione e stasi

Eppure, tra collisioni celesti di potere e vendetta, è stata la Demerzel di Laura Birn a catturare l'anima dell'episodio. Un essere colto nel crocevia tra dovere ed emozione, le cui battaglie interiori erano crude e tumultuose come il caos esterno. Guardare il suo oscillare tra la fredda logica e il sentimento viscerale è come assistere a un maelstrom che imperversa all'interno di una tazza: contenuto, ma vasto nella sua intensità. Programmata per mantenere lo status quo, il suo robotico immobilismo cozza con le ambizioni emotive e un potenziale di cambiamento ben ravvisabile nella sua toccante mimica facciale.

Il paradosso di una libertà pagata al prezzo di una nuova prigionia, fuori da celle ma fatta di catene invisibili, è tutto negli occhi lucidi di Birn mentre dialoga per l'ultima volta con Tramonto (Terrence Mann). Il dovere si contrappone all'amore, ma - come sottolinea Demerzel - non è forse un dovere anche il sentimento creato ad arte che la lega al sovrano? La conclusione, per ora, della sua linea narrativa ha il sapore di un reset amaro, folle tentativo di restare identici a sé stessi in un universo in perenne mutamento.

Una promessa

E mentre le onde della narrazione crescono e diminuiscono, culminando nella morte di Salvor (Leah Harvey) e nella rivelazione finale del Mulo (Mikael Persbrandt), non si può fare a meno di essere catturati da questa succosa anticipazione. Come la nota finale di una canzone affascinante, la scena conclusiva ci lascia desiderosi di vedere di più, bramosi di un prosieguo per questa cupa melodia appena accennata.

In conclusione, Miti della Creazione è una bevanda galvanizzante, illuminata da una trama intricata, performance stellari e ricchezza metaforica che ha tessuto senza soluzione di continuità i fili delle sorti e delle decisioni dei personaggi. Un'ode alla lotta eterna dell'umanità contro l'immutabile marea del tempo, che ci lascia con la speranza che, preparando il terreno alla prossima stagione, Fondazione continui a tessere le sue storie con questa vividezza, trascinandoci più in profondità nel mondo affascinante della psicostoria e degli intrighi interstellari.

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