Fondazione 2x06, "Perché gli dei hanno creato il vino": la recensione

Nel nuovo episodio di Fondazione si svela il doloroso passato di Hari, e le origini della psicostoria si fondono col dramma sentimentale

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Spoiler Alert

La recensione del sesto episodio della seconda stagione di Fondazione, disponibile su Apple TV+

Come saggiamente annotò Oscar Wilde, “Ogni santo ha un passato, e ogni peccatore ha un futuro." Nel tessuto cosmico della seconda stagione di Fondazione, il sesto episodio - intitolato Perché gli dei hanno creato il vino - offre agli spettatori un amalgama tra ciò che la serie era e ciò che potrebbe essere, cercando di dipingere con audacia sulla tela di Asimov. Nella sua vastità, la trasposizione di Apple TV+ aspira a essere un'epopea che si immerge profondamente negli anfratti della psiche umana, nelle trame politiche e nell'attrazione gravitazionale del destino, tessuta con i fili raffinati della psicostoria.

Questa puntata, pur proseguendo su questo sentiero esplorativo, inciampa occasionalmente sui propri passi. Il rapporto tra Salvor (Leah Harvey) e Gaal (Lou LLobell) continua a risultare la parte meno interessante della serie, costringendo lo spettatore a uno sforzo tremendo per convincersi che tra i due personaggi esista qualche tipo di affetto. Non è solo l'anagrafe a remare contro questo bislacco sentimento madre-figlia, ma anche e soprattutto lo spettro dell'affrettata, scialba storia d'amore che ne fu origine nella prima stagione.

Uno sguardo indietro

Nucleo rovente dell'episodio, seppur collocato nella parte finale della puntata, è il lungo flashback sulla vita di Hari Seldon (Jared Harris) prima della Fondazione. È un giovane uomo con un terribile taglio di capelli quello che conosciamo attraverso questo salto all'indietro, un intellettuale vivace e ribelle la cui presunzione lo porterà a pagare un prezzo molto, troppo alto. A dispetto del suo opinabile look, lo vediamo conquistare il cuore della bella studiosa Yana (Nimrat Kaur) e progettare con lei un futuro.

Tutto ciò che al giovane Hari manca in termini di acconciatura è più che compensato dalla spettacolare interpretazione di Jared Harris. In questo episodio, l'attore britannico incarna l'essenza ambigua di Hari Seldon con tale gravità e ricchezza di sfumature da risultare una magistrale lezione di recitazione. Il peso delle sue decisioni, la profondità della sua perdita e i primi vagiti di una teoria che potrebbe cambiare l'universo sono palpabili in ogni suo gesto e sguardo. Restiamo così, col cuore in gola, a chiederci se questo suo recente ritorno alla vita sia già giunto al capolinea; lo struggente finale lascerebbe supporre che sia così, ma ci concediamo il beneficio del dubbio.

Deviazioni

Nel bel mezzo di queste sequenze, l'immersione narrativa si interrompe talvolta con brevi sguardi ad altre trame. Le traiettorie di Fratello Giorno (Lee Pace) e Poly Verisof (Kulvinder Ghir), sebbene essenziali, appaiono come una deviazione poco emozionante rispetto alla trama centrale. Si potrebbe sostenere che con un universo vasto come Foundation, non è impresa da poco gestire le innumerevoli storie. Tuttavia, ciò ricorda un direttore d'orchestra che ogni tanto perde un battito in una sinfonia altrimenti impeccabile.

In particolare la scena in cui Giorno, in un'immensa arena gremita di sudditi, presenta la sua promessa sposa Sareth (Ella-Rae Smith) riconferma, ahinoi, la pessima scelta di casting fatta con quest'ultima, del tutto inadeguata a rendere la complessità di pensiero di una figura tanto travagliata quanto determinata. L'interpretazione di Smith, schiacciata dal confronto con il sottile, raffinatissimo Pace, si riduce a una convulsa concatenazione di smorfie e scatti che cozzano terribilmente con la sobria essenzialità dello stile recitativo di Fondazione.

Vino diluito

Forte dell'introduzione dei Mentalici, inoltre, la puntata gioca abilmente sul filo tra illusione e realtà, regalando una commovente rappresentazione delle memorie e della psiche condivisa di una comunità ferita. In questo senso, l'incontro tra Salvor e gli psichici di cui percepisce i ricordi più traumatici è un breve ma intenso gioiello di narrazione, nonché uno dei picchi drammatici più coinvolgenti finora toccati dal personaggio.

In conclusione, Perché gli dei hanno creato il vino è un arazzo di brillantezza con bordi occasionalmente sfilacciati. L'episodio, come un vino invecchiato con una nota sorprendente, offre un sapore ricco ma lascia un retrogusto inaspettato: un leggero desiderio di una narrazione più armoniosa. Come il tragediografo greco Euripide una volta rifletté, “Dove non c'è vino, non c'è amore.” Sebbene l'episodio non fosse certo privo di vino (e di amore), forse avrebbe potuto beneficiare di un dosaggio più ponderato che ne esaltasse il sapore invece di diluirlo nelle acque insipide di troppe linee narrative.

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