Fondazione 2x01, la recensione

Il primo episodio della seconda stagione di Fondazione conferma pregi e difetti visti finora, compiendo un balzo temporale di cento anni

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La nostra recensione di All'ombra di Seldon, primo episodio della seconda stagione di Fondazione, disponibile su Apple TV+

Sono passati poco meno di due anni da quando Fondazione, indubbiamente una tra le produzioni televisive più spettacolari degli ultimi anni, fece il suo debutto su Apple TV+. L'esordio venne accompagnato da giubilo e strali d'odio, come era prevedibile per l'adattamento dell'opera di un genio. E dire che, in linea con quanto mostrato dalla serie finora, anche All'ombra di Seldon funziona meglio quando si distacca dal tentativo di far quadrare stralci tanto, troppo distanti del Ciclo della Fondazione di Isaac Asimov.

Madri e figli

L'episodio è ambientato più di cento anni dopo rispetto alla storia narrata nella prima tranche di episodi. Inutile dire che Fondazione avesse già preparato il terreno per ritrovare, a dispetto del salto temporale, gli stessi protagonisti del precedente arco di puntate. Ecco quindi la coscienza di Hari Seldon (Jared Harris) intrappolata all'interno del Radiante; la sua mente è messa a dura prova dalla prigionia, tra geometrie impossibili ed echi della sua infanzia. Vediamo, per la prima volta, un flashback della sua giovinezza, scoprendo come sua madre sia stata fondamentale nello sviluppo della sua curiosa intelligenza.

Fondazione ci mostra poi un'altra madre, stavolta inconsapevole: Gaal (Lou Llobell) si trova faccia a faccia con una figlia che non sapeva d'avere e che, inoltre, è certo più anziana di lei. Il rapporto con Salvor (Leah Harvey) è certo ancora traballante, ma trova - nel comune intento di rimettere in moto la nave su Syrrax - un valido pretesto per iniziare a germogliare. Inoltre, le due donne scoprono una matrice (genetica?) comune: laddove Gaal è colpita da fulminee visioni del futuro, Salvor sembra invece in grado di vedere frammenti del passato.

Una crisi alle porte

Ciò che emerge dal confronto tra madre e figlia - e, soprattutto, dall'ennesimo innesco del Radiante - è che una nuova crisi della Fondazione è dietro l'angolo. Se non si troverà il modo di fermarla, la catastrofe potrebbe non avere pressoché mai fine, in una lunga sequela di conflitti che falcidierebbero l'universo attraverso uno scontro eterno con l'Impero. Vediamo già i germi di tale crisi mentre Fratello Giorno (Lee Pace) e i suoi fratelli devono fare i conti con il sospettoso, prolungato silenzio che avvolge i margini esterni del loro dominio.

Se Tramonto (Terrence Mann) esorta Giorno a percorrere la via dello scontro diretto, quest'ultimo sembra voler optare per un approccio più morbido, in assenza di prove dirette di una congiura. Nel mentre, coltiva il proprio inedito proposito di sposarsi con la regina Sereth (Ella-Rae Smith), sebbene nell'intimità dell'alcova abbia intrapreso una relazione sessuale nientemeno che con la millenaria androide Demerzel (Laura Birn).

Un palco esaltante

Ancora una volta, la triade di Imperatori costituisce l'elemento più interessante di Fondazione; osservare come la dinastia di Cleonte sia evoluta - o involuta - nel corso degli anni è uno spunto per riflettere sul senso della tradizione e sui rischi dell'immobilismo storico. Plauso, come sempre, a un gigantesco Pace, in grado di dipingere con sensibilità e carisma le sottili differenze tra i vari cloni; il nuovo Giorno ha un'inedita spregiudicatezza, persino simpatica e sorniona, accompagnata dall'abituale pugno di ferro nel punire qualsiasi inadempienza.

Harris, dalla sua, ha l'occasione di spadroneggiare sul palco grazie all'espediente del Radiante-prigione. L'utilità ai fini della trama è nulla, ma la vibrante drammaticità della sua performance giustifica questa parentesi molto più di altre sequenze narrativamente imprescindibili. Si pensi, ad esempio, a tutto ciò che concerne la coppia Gaal-Salvor; seppur motori attivi dell'azione, i due personaggi si confermano tra gli anelli più deboli del gioiello di Apple TV+. L'arrivo di Seldon nella loro linea narrativa, a fine episodio, getta però le basi per un'evoluzione che speriamo li faccia emergere dalla palude della banalità.

Vette e abissi

In linea con quanto visto già nella precedente stagione, Fondazione mostra al suo pubblico vizi e virtù. Il comparto visivo resta impressionante, e varrebbe la pena seguire la serie anche solo per la suggestione estetica degli ambienti in cui la vicenda si svolge. Purtroppo, la cura visuale non trova sempre eco nella scrittura, che manifesta i soliti alti e bassi di una storia corale tanto discontinua da sembrare, spesso, opera di diversi team.

Come accennato, l'ingresso di Hari Seldon in quella che è stata, finora, la storyline più debole potrebbe garantire a Fondazione un'omogeneità di ritmo, coinvolgimento e interesse finora mai raggiunta. Con gli occhi gonfi di meraviglia e il cuore gonfio di speranza, salutiamo il ritorno di un progetto tanto ambizioso quanto imperfetto, confidando nella capacità degli autori di fargli spiccare un salto definitivo verso le stelle a cui punta sin dal suo esordio.

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