Fondazione 1x09 "The First Crisis": la recensione

Contrapponendo la logica all'empatia, Fondazione cerca di trovare un senso ultimo all'intera, dispersiva stagione

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Spoiler Alert
Fondazione 1x09 "The First Crisis": la recensione

Contrapponendo la logica all'empatia, Fondazione cerca la proverbiale quadratura del cerchio. Che qui significa trovare un senso ultimo all'intera, caotica e dispersiva stagione  che abbiamo visto fino ad ora e che va concludendosi. Per fare tutto questo, per raggiungere l'obiettivo che si è prefissata, fa quello che ha fatto fin dal principio. Mette in parallelo due storie e costruisce un riferimento specchiato dell'una nei confronti dell'altra. La scorsa settimana era la crisi dell'impero contrapposta alla crisi della Fondazione. Stavolta è l'idea di rinnovare un equilibrio che si era spezzato, affidandosi alle armi, come si diceva, della logica o dell'empatia. E la serie è fortemente improntata sulla logica, anche se per arrivarci lascia ampio spazio all'emotività e agli exploit dei singoli.

Salvor Hardin, che continua a non essere la protagonista più semplice con la quale empatizzare, si muove verso la risoluzione della crisi con gli Anacreoniani. Che lo sappia oppure no. Dal caos della scorsa puntata emerge una protagonista se possibile ancora più determinata. Questa Salvor raccoglie tutti gli insegnamenti del padre ricevuti in gioventù e si riallaccia alla scena iniziale dell'episodio. Qui torna la celebre frase "la violenza è l'ultimo rifugio degli incapaci", che tanta forza dà all'intreccio e al senso ultimo della trama. E non per un vago ideale di pacifismo – come se non bastasse – ma per pura razionalità. Logica, appunto.

Qualcosa che va oltre la vendetta che Phara vuole compiere con la Invictus nei confronti dell'impero che le ha fatto tanto male. C'è una convergenza finale inevitabile verso la quale tutto l'episodio tende. E la scrittura ce la racconta non senza dolore e sofferenza. Non è facile lasciarsi alle spalle la rabbia, non quando tanto è stato sacrificato e tante persone sono morte. Ma Salvor vorrebbe essere la prima a sotterrare l'ascia di guerra e a proporre una alleanza. Alleanza che viene rigettata da Phara, che punta le sue armi contro la cripta misteriosa. È davvero troppo e il personaggio dovrà incontrare la sua morte, ma non c'è soddisfazione in questo, solo la constatazione che la pace per qualcuno è un miraggio. Dalla cripta emerge Hari Seldon, o una sua proiezione come quelle che abbiamo già visto, pronto a complimentarsi per la fine della prima crisi.

Dall'altra parte, il viaggio straziante del Cleon più giovane. La sua lotta per l'individualità, l'amore, la libertà si rivela anch'essa un miraggio, nel momento in cui si scopre che era tutto un inganno per sostituirlo e distruggere la dinastia. Così non sarà, ma nell'intervento di fratello Tramonto non c'è solo la soluzione ad un problema, ma l'affermazione che nulla potrà o dovrà mai mutare. Alba è vivo per il momento, ma è sconfitto, perduto, spezzato come lo è il suo cuore. Anche qui torna la contrapposizione tra logica e empatia. Alba si rivolge al se stesso più anziano (più saggio?) e lo implora di considerare altro che non sia la razionalità.

Ma il punto è sempre quello. Che provochi sofferenza o meno, la logica comporta sacrifici e rinunce, spesso del singolo, in nome di un presupposto benessere più grande. Che può coincidere con la visione della Fondazione o dell'Impero. Ancora una volta, il lavoro sui Cleon, completamente inedito rispetto ai romanzi, è una delle parti migliori della serie.

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