Fly Me to the Moon - Le due facce della Luna, la recensione

Apparentemente calcato sui modelli anni '60, Fly Me to the Moon mette sullo schermo una commedia impeccabile e rivede dalla base quei modelli

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

La recensione di Fly Me to the Moon, il film di Greg Berlanti con Scarlett Johansson e Channing Tatum in sala dall'11 luglio

Si veste come Marilyn Monroe ma parla come Monica Vitti. Scarlett Johansson trascina tutto Fly Me to the Moon impostando il tono e l’aria giusti, quelli della commedia frizzante, e così sovrasta Channing Tatum, sua controparte virile e risoluta, nella narrazione di come la corsa alla Luna è stata venduta agli americani (e al governo) per ottenere i fondi necessari a vincerla. Già i titoli di testa, con musica di big band, grafica creativa, montaggio dinamico e ritmo altissimo, puntano sul frivolo e leggero per raccontare qualcosa che frivolo e leggero non è: la morte di alcuni astronauti in uno dei molti passaggi che hanno poi portato all’Apollo 11. Potrebbe essere (morte a parte) un inizio da film Pixar, con quell’amore per gli anni '60 e la patina divertente stesa su tutto, e invece è l'inizio che non vuole proporre modelli femminili nuovi ma ridefinire il ruolo dei personaggi femminili ribaltando gesti, segni e immagini prima usate per metterle un gradino sotto quelli maschili.

Tutto dipende dal fatto che finalmente Greg Berlanti sembra in controllo della situazione. Fly Me to the Moon è un film formulaico, all'interno del quale tutti si muovono benissimo. La sceneggiatura mantiene un ritmo costante, ha uno humor efficace e caratterizza bene ogni personaggio. Gli attori hanno la chimica giusta (a sorpresa, la migliore è quella tra Johansson e Harrelson) e Berlanti dà l’impressione di dominare la messa in scena. C’è una grande attenzione ai dettagli, utilizzati per fini narrativi: ognuno contribuisce a far conoscere meglio questa storia e questi personaggi. Con questo approccio, tutto si mantiene coerente e anche le parti più sciocche diventano gradevoli, elevando il film e consentendogli, sottotraccia, di rileggere il passato a partire dal senso di alcune immagini. Quella più evidente è quella usata anche in promozione della donna che fa il nodo alla cravatta all'uomo importante, di solito usata per mostrare come il compito delle donne sia di aiutare gli uomini, qui diventa la maniera in cui una donna pilota un uomo, lo gestisce e lo rende uno strumento per la sua conquista della Luna.

In teoria la trama del film si diletta con la parodia delle teorie del complotto e delle leggende metropolitane ("Lo sapevo che dovevamo chiamare Kubrick..."), realizzata con gran gusto e divertimento per ribadire (come ha sempre fatto la Hollywood del periodo d’oro cui questo film si rifà) l’imbattibile potenza del modello americano, capace di non arrendersi, recuperare e vincere anche quando è in difficoltà, come accadeva nella corsa allo spazio. Ma è anche implicitamente la revisione della commedia tradizionale. La sceneggiatura di Fly Me to the Moon rientra nella categoria “donne in un mondo di uomini”, con ironie e contrasti tipici, ma invece di giocare su sbadataggini femminili e inadeguatezze come avrebbe fatto un film d’altri tempi, mette in scena due donne (la protagonista e la sua vice) desiderose di godimento, che non cercano gli uomini per completarsi ma per divertirsi, e il cui lavoro e la cui missione appare la più importante di tutte.

Il tratto cruciale è che quella che Scarlett Johansson interpreta non è un tipo di donna che di solito non venivano raccontate (quello lo fa un film molto più convenzionale sia apertamente che implicitamente come Il diritto di contare), ma esattamente quelle che i film d’epoca raccontavano, solo che attraverso quei tratti femminili accentuati manifesta intelligenza e caratteristiche da protagonista (in sintesi: la capacità di raggiungere l’obiettivo della storia con più efficacia rispetto agli altri personaggi e di incarnarne il conflitto principale). Ovviamente c’è tutta una parte di commedia romantica in cui gli uomini vanno conquistati, e questo avviene “tradizionalmente”, cioè con i contrasti tipici della commedia dei sessi, ma per una volta (nel cinema moderno) per creare un personaggio femminile forte non c’è bisogno di renderlo perfetto. Anzi, qui è un po’ odiosa a tratti, deprecabile per certi versi, fallata ma troppo sveglia per non attirare, troppo potente per non essere la risolutrice. E tutto questo alla fine si risolve in una grande caratteristica data al personaggio: dignità.

Continua a leggere su BadTaste