Berlino 2012: The Flowers of War, la recensione

Diviso nettamente in due con un primo tempo che mostra tutte le stupende potenzialità gettate alle ortiche nel secondo, il primo film davvero americo-cinese è una delusione...

Critico e giornalista cinematografico


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Una delle più grandi star americane nel film del più grande e conosciuto regista cinese contemporaneo. Flowers of war è un filmone dal tono epico e dalla retorica chiara, che esalta il popolo cinese raccontando di un episodio storico descritto come "realmente accaduto".

Durante il sanguinoso assedio a Nanchino (allora la capitale) un becchino si nasconde in una chiesa, fingendosi prete per sopravvivere. Lì trova delle studentesse di circa 13 anni e dopo poco si aggiungono delle note prostitute rifugiate. La convivenza non è semplice, il becchino non è uno stinco di santo ma la situazione tirerà fuori il meglio da ognuno, farà superare differenze e diffidenze coalizzando tutti verso un grande sacrificio finale.

The Flowers of War ricalca tutta la retorica del cinema autoesaltatorio statunitense. I grandi ralenti, i controluce commoventi, primi piani intensi, occhi lucidi, parole poetiche e musica altisonante, eppure per almeno un'ora di film sembra fare tutto questo con gli strumenti del miglior cinema. Zhang Yimou è davvero il più grande regista cinese se non uno dei migliori al mondo e il suo incontro con Christian Bale (puramente americano nello stile di recitazione) produce scintille di magnificenza. Tra un rigoroso uso del colore (il protagonista bianco di farina, baionette che sfiorano gli occhi, rosoni della chiesa che producono arcobaleni), un racconto asciutto pur nella sua magniloquenza e trovate degne dei nomi sui cartelloni, The Flowers of War inizia alla grande (visti i presupposti), ma da quando il prete per necessità si taglia la barba (segno cinematografico universale di mutamento interiore), il film cambia rotta.

Annacquato nella retorica, flagellato dal buonismo e allungato a dismisura da ralenti, sequenze musicali ed esigenze celebrative, The Flowers of War si trasforma nell'incubo di ogni spettatore: un film a tesi privo di ritmo o novità e incaricato di inculcare una morale di ferro. Un disastro.

Ciliegina sulla torta: il ruolo dei giapponesi. Gli assediatori di Nanchino (e nemici storici della Cina) sono dipinti come mai si era visto prima. Perfidi, stupidi, gretti, meschini, ributtanti e viscidi non hanno una scintilla di positività, non hanno un personaggio nemmeno vagamente morale o anche solo un'idea di umanità. Anche i loro colpi sono più efferati e producono più sangue di quelli dei cinesi. Nemmeno i comunisti nei film americani in tempo di guerra fredda erano trattati così. Nemmeno i nazisti!

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