Flow, la recensione: il cinema che torna alla sua forma più pura

I silenzi parlano in questa meravigliosa favola quasi onirica che racconta il flusso della vita

Redattrice per badtaste, illustratrice e concept artist.


Condividi

“Non mi ricordo di un film grazie ad una battuta, mi ricordo di un film per la sua potenza visiva. Una combinazione pura di immagine e suono, è questa la potenza del cinema".

Denis Villeneuve non aveva sicuramente visto Flow lo scorso febbraio quando parlava dell'esperienza cinematografica, eppure il valore delle sue parole riecheggia in ogni inquadratura dell’acclamato film d’animazione di Gints Zilbalodis, in uscita il 7 novembre nelle sale italiane.

Il film, di produzione franco-belga-lettone e distribuito da Teodora Film, è stato presentato a Cannes e ad Annecy, dove ha vinto il premio della giuria, del pubblico e il Gan Foundation Distribution Prize e rispecchia perfettamente il concetto espresso dal regista.

Nessuno infatti vuole togliere valore o importanza alle parole, o ai dialoghi che hanno fatto la storia del cinema ma, al contrario, il desiderio è di riconferire potere a ciò che é il cinema nella sua forma più pura: suono e immagine, un medium audiovisivo che, come tale, per mostrare la sua potenza di linguaggio universale dovrebbe essere in grado di funzionare anche senza dialoghi, dicendo tutto quello che ha da dire… anche senza dire niente.

Pura potenza visiva, "show, don't tell"

Flow é in questo un vero trionfo e porta la regola numero uno della narrazione cinematografica - show, don’t tell - ad un nuovo livello: nessun dialogo, solo silenzi assordanti che riecheggiano nella vastità delle ambientazioni evocate e che parlano allo spettatore di un mondo che non sembra più il nostro, regalando al pubblico di ogni età una fiaba utopistica e agrodolce su ciò che significa convivere, anche con le proprie diversità, nella società di oggi, costruita, purtroppo, di tanti individualismi che faticano a coesistere e a lavorare come una comunità per il bene comune. 

Dopotutto, se gli umani non ci sono più, perché parlare?

Individualismo e collettività

La storia inizia con uno e finisce con molti

Inizia raccontandoci la quotidianità pacifica e indisturbata di questo piccolo gatto nero, una routine vissuta in un ambiente totalmente privo di esseri umani in quella che sembra un’inquietante prospettiva di ciò che ci attende in futuro. La pace e il silenzio regnano sovrani in ambienti che oramai sono solo il fantasma della presenza dell’essere umano sulla terra, in un quadro post-apocalittico più meraviglioso di quello che solitamente immaginiamo, forse proprio grazie all’assenza del genere umano. 

La vita del gattino e di tutti gli esseri viventi rimasti - gli animali - viene sconvolta e distrutta da un’onda anomala di natura sconosciuta, una sorta di diluvio universale che porta il livello delle acque su tutto il pianeta a innalzarsi e a ricoprire quasi totalmente l’intera superficie terrestre.

É qui che il forte individualismo del gatto é costretto a scontrarsi con la scomoda realtà della collettività, imposta dalla convivenza forzata con altri sopravvissuti di specie diverse, tutti a bordo di questa sorta di piccola Arca di Noè, una barchetta alla deriva che ha raccolto per la strada diversi superstiti, specchio di un vero e proprio tessuto sociale paragonabile ad una micro società odierna. 

Si combinano così diversi vissuti, diverse storie, diversi caratteri di diversa indole che, per sopravvivere e ritornare - forse - alla loro vita, dovranno imparare a capire che il tutto è più importante del singolo. 

Dilemmi morali

Nonostante si tratti di un film d’animazione adatto anche ai bambini, il lungometraggio mette però molto spesso lo spettatore davanti a scene angoscianti e scomode verità. I diversi protagonisti, infatti, vivono in prima persona o assistono molto spesso ad avvenimenti che li segnano profondamente e che fanno capire quanto, in momenti di crisi e di difficoltà, si potrebbe rischiare di scegliere il nostro lato bestiale invece di quello umano.

Lo spettatore osserva ciò che accade e si chiede, senza volerlo, come si ritroverebbe ad agire: di fronte alla lotta tra specie, di fronte alla diversità, salveremmo prima i nostri simili a discapito degli altri? Rimarremmo attaccati alle cose materiali? Messi di fronte ad una scelta, rischieremmo l’equilibrio e la salvezza della nostra piccola comunità pur di salvare una vita in più? Ci sono davvero vite che valgono più delle altre?

Animazione: suono e immagine

Tutto questo è raccontato per l’ennesima volta, e in maniera eccezionale, dal medium per eccellenza che negli ultimi anni ci ha regalato delle vere e proprie gemme e che ha contribuito a riportare il pubblico in sala: l’animazione. La tecnica utilizzata sfrutta l’ultima frontiera di Blender, il motore di rendering EEVEE: l’intero film é realizzato proprio grazie al noto programma di modellazione 3D, disponibile per chiunque da utilizzare in maniera assolutamente gratuita. L’ennesima dimostrazione che l’arte è davvero alla portata di tutti.

Nonostante si tratti di modellazione 3D (l’intera pre-visualizzazione con inquadrature e riprese è stata fatta dal regista tramite Blender per poi essere mandata ai vari studi per l’animazione dei singoli personaggi) la sensazione che lascia e che trasmette è quella di qualcosa di organico, morbido e pittorico. 

Gli ambienti maestosi sono dei veri e propri dipinti che riescono però a risultare abbastanza realistici da far percepire la sensazione tattile dell’erba, dell’acqua, il calore del sole o la potenza della pioggia. L’acqua - elemento attorno al quale gira tutto il film - è potente e implacabile ma, sotto la superficie, silenziosa e calma, un rilassante abbraccio anche quando sembra che sopraggiunga la morte. I protagonisti sono animati in maniera sia caricaturale - ogni micro espressione del gatto protagonista è da studiare - sia incredibilmente fedele alle movenze dei vari animali, riuscendo a strappare un sorriso e qualche risata nonostante la tragicità della situazione. 

La colonna sonora quasi onirica - composta dallo stesso regista, Gints Zilbalodis, e da Rihards Zalupe - ci accompagna in un flusso simile a quello dell’acqua, mischiandosi ad una sinfonia di suoni ambientali che incantano e inquietano, rotti solo dai versi dei vari animali che comunicano sia tra loro che con lo spettatore.

Il flusso della vita

Il film si fa carico forse del messaggio più importante di tutti, ossia che la vita - come le maree che si alzano e si abbassano, come le inondazioni che ricoprono la terra per poi ritirarsi e permettere al tutto di tornare a fiorire - segue un suo ineluttabile flusso.

Che non tutti quelli che incontriamo nel nostro cammino sono poi quelli che restano e che, nell’ordine naturale delle cose, anche la morte é inevitabile. Fa male, sembra ingiusta, ma fa parte di un ciclo infinito che non può essere spezzato e con il quale, alla fine, dobbiamo imparare a convivere, facendoci forza a vicenda e accettando di fare parte di qualcosa di più grande.

E quindi, forse, per imparare ad affrontare il flusso della vita e per poter salvare il mondo, bisogna salvarsi a vicenda. O almeno provarci. 

Continua a leggere su BadTaste