Flatliners - Linea Mortale, la recensione

Senza la giusta dose di concretezza e senza un cast capace di ancorare la storia alla realtà, Flatliners è un Linea Mortale in balia della sua cretineria

Critico e giornalista cinematografico


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Alcuni remake trovano la strada per il paradiso, scavano una propria nicchia in una storia già raccontata, adottano un proprio punto di vista differente e tramite esso acquistano un senso (vedasi il caso di L’inganno, quest’anno); altri si perdono per strada e finiscono per essere copie sbiadite degli originali; altri ancora sbagliano strada proprio alla prima curva e finiscono così lontani dalla meta che sembra impossibile chiamarli remake. È stato il caso del nuovo Point Break ed è il caso di Flatliners, remake di Linea Mortale del 1990, un piccolo soft horror cult da adolescenti, scemo nelle premesse ma riuscito negli esiti.

La versione 2017 di Linea Mortale pompa tutte le componenti base del film: un gruppo di studenti di medicina (il cui docente è Kiefer Sutherland) vuole sperimentare cosa accada al cervello quando l’essere umano muore, per farlo induce la propria morte per rianimarsi dopo qualche secondo. Quest’esperienza di morte diventa quasi una droga che tutti desiderano sperimentare rischiando grosso. Una volta tornati però cominciano ad avere visioni, i loro peccati tornano ad infestarli e rischiano di ucciderli. In più rispetto all’originale stavolta, tornati dalla morte, gli studenti sono più intelligenti e si ritrovano abilità che prima non avevano (tipo suonare musica classica al pianoforte o risolvere in poco tempo il cubo di Rubik), dettaglio che poco ha a che vedere con il fine del film e difatti è totalmente superfluo.

Era proprio la cretineria della trama, unita però ad una realizzazione incredibilmente adeguata, ad aver creato il cult del 1990: fare bene qualcosa di scemo facendolo risultare accettabile se non proprio affascinante. Quello di Joel Schumacher era un mix riuscito di regia che lottava per tenere i piedi per terra anche durante le visioni e attori giovani ma molto bravi (Julia Roberts, Kevin Bacon, Kiefer Sutherland, William Baldwin, Oliver Platt) a dare credibilità.
Qui tutto questo manca. C’è solo la trama scema.

Niels Arden Oplev è il primo a non credere nemmeno per un momento alla possibilità di fare trarre da tutto questo un film che possa essere intelligente, scioglie le briglie alla storia e cavalca ad ampie falcate nell’assurdo fino a sbattere contro l’apertamente stupido, anche grazie ad un cast di attori più che mediocri tra cui non svettano Diego Luna ed Ellen Page (che in uno sforzo di gender swap inutile, perché non messo a frutto, ha il ruolo di Kiefer Sutherland). Oplev compie anche il grave errore di rappresentare l’al di là, cosa che l’originale non faceva mai, con la meno fantasiosa e più banale delle carrellate tra i ricordi e dello spazio immenso, come se questa potesse suggestionare davvero più del mistero di qualcuno che torna dalla morte senza averci capito molto.
Raggiunto ben presto il minimo sindacale dell’impegno nel realizzare qualcosa di unico e personale, Flatliners si assesta con comodità sul fondo del barile e lì rimane fino ai titoli di coda.

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