Flashback – In taxi nel passato, la recensione
Vorrebbe essere una commedia spregiudicata, Flashback, ma non è che un bignamino scolastico, un film di slogan urlati. La recensione
Quale può essere l’effetto di un film comico dove le risate sono messe in secondo piano rispetto al messaggio da far passare, urlato con slogan e frasi ad effetto? Forse solo l’opposto di quello prefissato: la noia al posto del divertimento, l’irritazione al posto dell’interesse per gli argomenti trattati. In Flashback - In taxi nel passato, Charlie (Caroline Vigneaux, anche regista e sceneggiatrice) è una giovane avvocatessa senza scrupoli: all'inizio del film la vediamo accettare il caso di uno stupratore e vincere la causa, adducendo che la vittima, indossando biancheria intima provocante, aver dato il proprio consenso all'uomo. Dopo aver festeggiato la vittoria, finisce sul taxi di Hubert (Issa Doumbia), in realtà una macchina del tempo che la trasporta nel passato, dalla Preistoria alla Rivoluzione Francese, dagli anni Sessanta al Medioevo. Un' occasione per l’incontro con alcune delle più importanti figure femminili della Storia francese (da Giovanna D’Arco a George Sand) ma anche per riallacciare i legami con la nonna e la madre da giovani.
Così però la possibile carica eversiva del personaggio viene spenta, perché nel suo percorso a prevalere è la sua parabola edificante, l’esito scontato delle vicende: tutto porta al risultato finale, che era già ben chiaro dalla sinossi. C’è solo un breve passaggio, sul finale, che sembra aprire una breccia, lasciando trasparire un possibile velo di amarezza nei confronti del voyeurismo maschile, ma è troppo fugace per risaltare. Non è ovviamente un modo per dire che la questione femminista non sia importante o più attuale oggi, ma quanto di rilevare come quello che non funziona nel film è come questo indefessamente e ripetutamente cerchi di portare all’attenzione un tema, su cui immaginiamo lo spettatore sia già ben predisposto, senza aggiungere nulla di nuovo, anzi con la presunzione di insegnarci qualcosa. Sono ben lontani i tempi delle commedie spregiudicate dei fratelli Farrelly, in cui appunto l’assunzione fino in fondo del politicamente scorretto era un mezzo efficace per far risaltare la chiusa mentalità dei nostri tempi (come il discorso sui "ritardati mentali" del personaggio di Matt Dillon in Tutti pazzi per Mary). Qui siamo più vicini a Don't Look Up: il riso amaro della satira si stempera in uno sfacciato didascalismo, in cui tutto porta a ribadire l'importanza di ritrovarsi insieme a tavola.