Flags of our Fathers

1945. Nella cruenta battaglia di Iwo Jima, decisiva per le sorti della seconda guerra mondiale, viene scattata l’immagine più celebre del conflitto. Clint Eastwood dilapida 90 milioni di dollari in un film confuso e banale...

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Gli ultimi due film di Clint Eastwood sono indicativi dei problemi attuali del sistema produttivo americano. Per raccogliere i 30 milioni del budget di Million Dollar Baby, il regista ha dovuto sudare le proverbiali sette camicie (per poi ottenere un grande successo e tanti rimpianti da parte di chi non aveva creduto in lui). Molto più facile il compito per raggranellare i 90 milioni necessari a questo Flags of Our Fathers, che invece si sta dimostrando un sonoro flop negli Stati Uniti.
Insomma, i produttori non finanziano i bei progetti, ma soltanto il successo (passato) di registi e attori. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Difficile infatti capire come un film del genere avrebbe potuto recuperare il suo budget. Flags of Our Fathers, in teoria, vorrebbe smontare tutta la retorica che si cela dietro ad una semplice foto. Ma, oltre a riuscire ad essere comunque retorico in molti momenti (il dialogo finale tra padre e figlio è allucinante a questo proposito), non si capisce perché dovremmo essere interessati e soffrire con questi personaggi piuttosto banali. Se la storia non è così interessante come ci ha tramandato la leggenda, perché raccontare la realtà, soprattutto se non lo si fa con la genialità di John Ford e de L’uomo che uccise Liberty Valance? E perché perdere tanto tempo in un momento così banale come lo scatto della foto, se poi si insiste a dire che fu un momento insignificante?

In realtà, il film sembra una raccolta di aneddoti (a tratti anche interessanti), ma questo non è sufficiente per creare una storia vera e propria (sfido chiunque a ricordarsi qualsiasi protagonista, esclusi i tre ‘eroi’ che issano la bandiera). In realtà, sarebbe stato meglio indagare di più questi uomini, le loro vite, le aspirazioni e le loro debolezze, magari mettendo maggiormente in risalto le occasioni che hanno alcuni di loro (e che colpevolmente non sfruttano). Ma d’altronde, per far questo, ci sarebbe stato bisogno anche di ottime interpretazioni e qui, un po’ per la mediocrità generale degli interpreti, un po’ per la direzione di Eastwood, non se ne vedono proprio. Forse è proprio questa la delusione maggiore, considerando che le ultime due pellicole di questo regista hanno ottenuto quattro Oscar per gli interpreti.

Se poi i due film di riferimento di Flags of Our Fathers vengono anche ripresi malamente, allora siamo nei guai. E’ evidente che la battaglia a Iwo Jima deve molto a Salvate il soldato Ryan, ma se da una parte Eastwood riduce l’intensità e la ferocia visiva, dall’altra abbonda di inutili fiammate truculente e autoindulgenti. E l’idea di raccontare tutto come un Quarto potere bellico (sfruttando anche la vera storia del libro, scritto appunto da uno dei sei uomini che issarono quella bandiera), non ha nessun senso, considerando che l’idea è evidente soltanto alla fine e che non c’è nessun segreto da svelare.
Anche l’abuso di flashback è decisamente poco convincente, ma bisogna dire che, per la ripetitività della storia, questo era l’unico mezzo per andare avanti per due ore.

Non è difficile capire perché parte della critica americana ha apprezzato molto Flags of Our Fathers. La presunta onestà nell’affrontare materia così importante, assieme allo sguardo severo su certi aspetti dell’epoca (soprattutto il razzismo) devono aver convinto molti giornalisti. Ma bisognerebbe ricordare che Gli spietati non era un gran film per il revisionismo sul western, ma per dei personaggi (anche nei piccoli ruoli) straordinariamente coinvolgenti. Magari, avrebbe fatto bene a rivederlo anche Eastwood

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