First Cow, la recensione
First Cow con il minimalismo dei racconti più virtuosi riesce a parlarci di storia, economia e società usando letteralmente due uomini e una mucca
È tra riquadri a camera fissa, scorci come dipinti ad olio impressi sulle pagine di un libro di fiabe, che Kelly Reichardt ci racconta la storia di First Cow. Una fiaba di frontiera ma non un western, un regno dal realismo magico ma non mitopoietico, dove personaggi-pedine mossi da pulsioni “pure” (speranza, avidità, invidia) si muovono su un immaginario carillon: seguendo binari di un destino già scritto.
Siamo nel West, precisamente nell’Oregon dell’epoca della corsa all’oro, ma siamo agli antipodi della frontiera. È infatti tra boschi e cespugli, nell’entroterra, che vagano Cookie (John Magaro) e King-Lu (Orion Lee), rispettivamente un cuoco del Maryland e un immigrato cinese in cerca di fortuna, due anime che si incontrano nel buio. Quasi riconoscessero la loro affinità di spirito semplicemente stando vicini, Cookie e King-Lu decidono di unire la creatività dell’uno e l’ingegnosità dell’altro per mettere in piedi una modesta produzione di dolcetti al latte. Il latte però è quasi più prezioso dell’oro: proviene dalla prima e unica mucca importata nel territorio appartenente a un ricco mercante inglese (Toby Jones) e che Cookie munge di nascosto di notte. L’inganno tuttavia non è destinato a durare a lungo…
Mente e braccio, King-Lu e Cookie sono però più che semplici figure metaforiche: non simboleggiano una mera unione votata alla produzione, ma un’allineamento spirituale di due uomini che fanno della solidarietà, dell’amicizia e della lealtà il loro credo, anche a costo di perdere. Il loro capitale è un valore umano. Una sorta di capitalismo naïf, non volto certo all’onestà ma dall’irresistibile cuore al latte. Ecco perché First Cow è una fiaba e non un mito o una sua revisione (diversamente dal western): racconta sì un’origine attraverso una parabola, ma non fissa prototipi né li ridiscute. Annuncia per poi annullare, con il suo epilogo, un stato di cose irripetibile, avulso dal tempo. Un exemplum che non è un monito ma un mondo a parte. La nave cargo che attraversa il fiume nella prima inquadratura, una vista dal futuro, sembra annunciare allora proprio come la Cultura abbia spazzato via la Natura in modo definitivo.
Facendosi forte dell’arte della sottrazione, fatta di silenzi, contemplazione, poche parole ma tanti sguardi e gesti, e della densità significativa degli oggetti di cui è composto - strumenti e utensili da brandire, usare con agilità o maneggiare con cura, che siano padelle, scope, mazzi di fiori, funghi e ovviamente dolcetti - First Cow si riempie in profondità (la profondità di campo) e in tutti i sensi dello spazio.
First Cow con il minimalismo dei racconti più virtuosi riesce a parlarci di storia, economia e società usando letteralmente due uomini e una mucca. Può quasi sembrare una barzelletta (e di fatto c’è sottesa, costantemente, una strana ironia), eppure, nella sua semplicità disarmante, è più di una semplice parabola.
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