Firewall Zero Hour vi convincerà a dare una chance a PlayStation VR – Recensione

Come ridefinire il genere degli FPS competitivi: la recensione di Firewall Zero Hour

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


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Robinson: The Journey, Superhot VR, Farpoint, Resident Evil 7 biohazard. Ma anche, per non dire sopratutto, Werewolves Within e Star Trek: Bridge Crew. I titoli pensati ed indirizzati a PlayStation VR che convincono, divertono, che non si limitano a proporre un’esperienza visiva fine a sé stessa, iniziano ad essere molti. Negli ultimi due casi citati, tra l’altro, questo lento, ma progressivo impadronirsi di un linguaggio tutto nuovo, che gli sviluppatori stanno scoprendo a mano a mano che sperimentano e scovano cosa abbia da offrire la realtà virtuale, ha inaspettatamente svelato quanto questa tecnologia sia effettivamente “sociale”, in grado di rileggere e ridefinire come non mai il multiplayer.

Paradossalmente, dando un corpo virtuale ad utenti in carne e ossa, immersi in mondi completamente digitali, si è più inclini a percepire come “reali” i propri compagni di gioco, ad umanizzarli, elemento che incentiva la collaborazione e, soprattutto, funge da deterrente a comportamenti offensivi, volgari, tutt’altro che in linea con la filosofia di divertirsi tutti insieme.

Firewall Zero Hour si basa proprio su questo concetto, riuscendo nella non semplice impresa di rivoluzionare, a modo suo, il genere degli FPS competitivi.

[caption id="attachment_189383" align="aligncenter" width="1000"]Firewall Zero Hour screenshot Firewall Zero Hour funziona esclusivamente online. C’è tuttavia un breve tutorial, utile per iniziarsi ai comandi e alle regole di base, che vi pone di fronte ad un manipolo di nemici gestiti da una rudimentale CPU.[/caption]

Sulla carta, la creatura di First Contact Entertainment è assolutamente classica, persino carente nei contenuti. C’è una manciata di avatar tra cui scegliere, ognuno dotato di abilità specifiche che spaziano dalla capacità di subire danni maggiori, alla spiccata capacità di individuare le trappole nemiche; non manca un menù in cui gestire il proprio arsenale, tra bocche di fuoco, invero non moltissime per quanto tutte diversificate tra loro, acquistabili e potenziabili spendendo i punti esperienza accumulati; spicca l’unica modalità disponibile che vede contrapporsi due team di quattro unità ciascuna, con l’obiettivo di difendere o hackerare alcuni terminali sparsi per la mappa entro lo scadere del tempo. Tutto qui, non c’è altro."Una volta scesi sul campo di battaglia si scopre un gameplay che rasenta la perfezione, innovativo, sorprendentemente efficace"

I più pretenziosi, chi è cresciuto a pane e Battlefield, potrebbe inizialmente restare deluso di fronte ad un menù principale così scarno, considerando la relativa scarsità di loadout editabili, valutando che nove mappe non sono poi così tante per un gioco che ambisce ad imporsi come un FPS esclusivamente competitivo.

Tutto vero e condivisibile, perché allo stato attuale dei fatti, questa scarsità di contenuti è un difetto tutt’altro che ignorabile. Però è anche l’unico che influenza negativamente l’esperienza.

Sì, perché una volta scesi sul campo di battaglia si scopre un gameplay che rasenta la perfezione, innovativo, sorprendentemente efficace. Se il timer che corre verso lo zero impone un  certo ritmo all’azione, la permadeath invita al ragionamento, alla strategia, al gioco di squadra, fattore imprescindibile per anelare alla vittoria.

Tutta la magia di Firewall Zero Hour consiste proprio nella ferrea collaborazione che riesce ad innescare tra gli alleati che non si limitano ad essere semplici avatar, fantocci digitali da sfruttare, ed eventualmente riempire di insulti, per il semplice raggiungimento dell’obiettivo. Oltre alla chat vocale, a contribuire all’idea di avere a che fare con altri umani sono le animazioni dei modelli poligonali. Busto e braccia, difatti, per quanto coinvolti in movimenti spesso alienanti, riproducono i gesti del giocatore, restituendo una fisicità che emancipa l’utente, lo attualizza all’interno del mondo digitale.

Ne risulta una cooperazione più coinvolgente, emozionante, spontanea. Nelle varie mappe messe  a disposizione dallo sviluppatore, tutte frutto di un lavoro di level design certosino e riuscitissimo, procederete all’unisono, muovendovi con circospezione, sempre attenti alle trappole e alle imboscate, architettando piccole e grandi strategie che si realizzano, si completano, si adeguano comunicando con i propri alleati non solo con la voce, ma anche con i gesti.

Il gameplay, inoltre, non lesina sui piccoli e grandi dettagli che aumentano ulteriormente l’immersione e il realismo. Abbassarsi, alzarsi, sporgersi oltre un ostacolo, sono ovviamente tutte azioni che si possono e si devono fare fisicamente, letteralmente. La non compenetrazione dei modelli poligonali di fucili e avatar, inoltre, costringe a considerare il volume dell’equipaggiamento, l’effettiva presenza degli alleati, che potrebbero rappresentare un ostacolo non da poco durante le fughe o nel corso delle sparatorie più concitate.

Anche graficamente, Firewall Zero Hour si difende alla grande sia grazie ad un frame rate granitico, sia con una pulizia d’immagine ragguardevole, anche sul modello classico di PlayStation 4. Lasciano a desiderare certe ambientazioni, un po’ troppo spoglie, ma il colpo d’occhio è assolutamente soddisfacente.

[caption id="attachment_189384" align="aligncenter" width="1000"]Firewall Zero Hour screenshot Si può essere utili anche da morti. Grazie ad una serie di telecamere fisse, potrete aiutare i compagni superstiti a non cadere in trappola.[/caption]

L’FPS sviluppato da First Contact Entertainment è destinato ad entrare nei libri di storia. Non tanto perché non si era mai visto niente di simile prima d’ora. Bravo Team, per esempio, sfrutta lo stesso sistema di mira che utilizza il movimento del Dualshock 4, o meglio dell’Aim Controller, stratagemma che crea una corrispondenza diretta tra i gesti dell’utente e i movimenti dell’avatar. Allo stesso modo, Star Trek: Bridge Crew già a suo tempo seppe restituire una dimensione estremamente sociale al multiplayer in salsa VR.

Firewall Zero Hour è destinato a fare epoca perché, ad oggi, rappresenta un metro di paragone per quanto proposto su PlayStation VR, un risultato raggiunto ereditando feature già viste altrove e amalgamandole con estrema professionalità e maestria. Lo si vede nel level design, nella grafica, nelle meccaniche che gestiscono un FPS sicuramente carente sotto il profilo dei contenuti, ma raffinato in ogni dettaglio.

Se amate il genere non potete farne a meno. Scoprirete come e quanto possono essere coinvolgenti e assuefacenti gli FPS competitivi in VR.

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