Firebrand, la recensione

Aïnouz è un regista intelligente (non uno furbo), né plateale né affermativo: la sua Catherine Parr è un’eroina coraggiosa ma spesso incosciente, desiderosa di un’indipendenza intellettuale ma difettibile. Non una macchietta.

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La recensione di Firebrand, film di Karim Aïnouz in concorso a Cannes 76

Che Firebrand sia un film a tesi lo dimostrano fin dall’inizio le parole bianco su nero - poi sottolineate da una voce narrante - che ci dicono quanto la Storia, quella con la S maiuscola, sia sempre stata narrata come una questione di uomini e di guerre. In questo senso fin da subito Karim Aïnouz (La vita segreta di Eurídice Gusmão) ci vuole fare intendere che l’eroico impegno della regina Catherine Parr (Alicia Vikander) nel portare avanti la riforma radicale protestante è qualcosa che è necessario raccontare se si vuole andare oltre una storiografia maschilista. Ma allo stesso tempo, sembra inferire che il suo stesso film deve essere visto come altrettanto necessario.

Quello di Ainouz è uno stratagemma furbo, ci indirizza alla visione di qualcosa di evidentemente giusto (portare in primo piano gli esclusi della Storia, in questo caso le donne). Il fatto è che se a questa dichiarazione non fossero seguite un messa in scena, una narrazione e una regia così coerenti con quell’idea come invece fortunatamente Firebrand dimostra di avere, il film sarebbe stato un mero disastro retorico. Aïnouz è invece un regista intelligente (non uno furbo), né plateale né affermativo (anche se con il finale astorico corre un grande rischio): la sua Catherine Parr è un’eroina coraggiosa ma spesso incosciente, desiderosa di un’indipendenza intellettuale - ha scritto un libro di preghiere, ci viene mostrato proprio per farcelo capire - ma difettibile. Non una macchietta.

La tensione Aïnouz la crea con un costante senso di pericolo che non percorre orizzontalmente la storia ma attraverso le singole scene. Catherine cerca di coprire il suo personale sostegno all’amica Anne Askew accusata di eresia, e per questo in ogni scena anche se non vede mai il pericolo in campo (il personaggio stesso di Askew si vede giusto un paio di volte) lo si percepisce da come Catherine tiene il suo segreto di fronte ad Enrico VIII, famoso decapitatore di donne, che costantemente sembra amarla, fidarsene e al contempo dubitare di lei.

La tensione per ciò che potrebbe succedere e il modo in cui Aïnouz la gestisce è ottimo, complice la perfetta recitazione di Jude Law nel ruolo di un re trasformista mangiato dalle frustrazioni di una malattia, che ci tormenta per come gioca con le aspettative di Catherine e quelle dello spettatore rispetto alle sue intenzioni. Più che Vikander, tuttavia, il personaggio femminile che anima Firebrand - narrativamente e non - è proprio l’Anne Askew di Erin Doherty: un personaggio che appare giusto un paio di volte ma che continua a perseguitarci con la sua forza retorica ed ideologica lungo tutto il film. Il modo in cui Doherty predica in un paio di scene basta a convincerci di quanto la forza del personaggio storico possa essere sembrata, in un mondo di uomini terrorizzati di perdere il potere, così semplicemente terrorizzante.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Firebrand? Scrivetelo nei commenti!

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