Fire Of Love, la recensione

Un documentario su due documentaristi che rimette in circolo alcune delle immagini e delle personalità più incredibili di sempre

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Fire Of Love, il documentario in uscita il 25 agosto

In teoria questo è un documentario convenzionale. Un documentario su Katia e Maurice Kraft, vulcanologi diventati famosi negli anni ‘70, che sembrano usciti da Le avventure acquatiche di Steve Zissou. Viene ricostruita la loro carriera, le loro imprese e il loro modo di relazionarsi ai media. Nella pratica non c’è niente di normale in quello che vediamo. Perché i due sono una coppia che visivamente si presenta come la rappresentazione stereotipata degli zii senza figli, un po’ fuori dal tempo, un po’ demodé, di certo molto nerd, solo che vanno nelle bocche dei vulcani mentre eruttano, remano con un canottino su laghi di liquidi tossici, camminano con le ciabatte a lato dei rivoli di lava, si bardano come l’alieno di Ultimatum alla Terra per avvicinarsi alla bocca del Vulcano mentre erutta. E filmano tutto.

Non lo fanno per spirito di conquista o autolesionismo, lo fanno per sete scientifica, per la scoperta e la catalogazione delle attività dei vulcani, per capire e quindi prevenire i disastri. Di fatto hanno girato alcune delle immagini più impressionanti di sempre per quanto riguarda i vulcani. Lo sa bene chi conosce e segue Werner Herzog perché i due erano già stati lodati e ammirati da lui (uno che di personalità incredibili se ne intende) in Dentro l'Inferno. Divulgatori in televisione, coppia estremamente unita, simpatici buontemponi con pipa e macchina da presa 16mm: la maniera in cui sfidano la natura con poche precauzioni, molta conoscenza e calcoli a mano, fa impressione ancora oggi.

In anni in cui il cinema di fantascienza e azione più avanzato ha cancellato i villain e vuole semmai raccontare la sfida degli uomini contro l’ignoto, gli ambienti, il mondo o l’universo intorno a loro per sopravvivere, questo documentario sembra perfetto. A mettere insieme il materiale è Sara Dosa mentre a narrare c'è Miranda July, quindi un po’ c’è l’idea di trasformare tutto in materia da cinema indie americano (non è difficile visto quanto i due visivamente sembrino davvero partoriti dalla costumista di Wes Anderson), e farne una storia d’amore e fiamme come dice il titolo. Di certo c’è dentro questo documentario di grandissimo impatto, una quantità di immagini girate da Maurice Kraft che denunciano una capacità e un desiderio di capire il mondo tramite il cinema, di fare proprio cinema e non televisione, inquadrando e incastrando vulcani, lava e tutto quel che ne consegue in inquadrature piene di senso che impressiona. 

Fire of Love dimostra la sostanza del miglior cinema documentario classico. Non è solo una questione di documentario il proprio lavoro, né soltanto l’esigenza di mostrare al pubblico ciò che non vede di solito, ciò che avviene nei luoghi estremi del mondo, ma il desiderio di comprendere ciò a cui si sta davvero assistendo, attraverso la sua registrazione su immagini.

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