Fiore Gemello, la recensione

Tarato su uno stile che non si può permettere, Fiore Gemello riesce però a rendere benissimo la particolarità del rapporto tra i protagonisti

Critico e giornalista cinematografico


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Dopo essere partita con una commedia come Febbre da Fieno, Laura Luchetti, otto anni dopo, sterza e ricomincia da un film a budget molto basso e un taglio molto autoriale (non a caso è passato al Toronto International Film Festival). Fiore Gemello è dotato di tutte altre aspirazioni rispetto al precedente, è un film con una protagonista che non vuole parlare a cui viene affiancato un ragazzo africano, migrante senza documenti, nel caldo asfissiante di una campagna violentata dal sole e attraversata da autostrade. Sono entrambi in fuga (non lo sanno ma dalla stessa persona) e la loro storia ci viene raccontata tra presente e flashback, in modo da conoscere prima come si conoscano, cioè la tenerezza, e solo poi il contesto brutale che li ha messi insieme e da cui inevitabilmente la storia si dovrà salvare.

È facile capire a cosa faccia riferimento la metafora del titolo, ed è una trovata tra il didascalico e l’esile (vedremo effettivamente un fiore gemello in mano alla protagonista nella serra di Giorgio Colangeli, una specie di frate Lorenzo) come molto di quello che il film propone. Il problema di Fiore Gemello di non avere né gli attori, né i dialoghi, né l’intreccio in grado di reggere tutti i suoi silenzi e il suo ritmo controllato, avrebbe semmai bisogno di un altro taglio per sopperire ai propri problemi. Anche perché, lo scopriamo molto tardi, sotto a tutto c’è un’ombra di intreccio criminale.

La parte migliore del film è allora il sentimento piccolo e molto curato tra i due protagonisti, incontratisi per caso e tangibilmente bisognosi l’uno dell’altro. In questo Laura Luchetti è molto brava, riprende le due solitudini bisognose (un grande cliché) come fosse la prima volta che lo vediamo avvenire, procede bene per gradi nell’avvicinarli e trova anche percorsi particolari e unici per raccontare come superino le rispettive barriere. Così quando arriverà la scena della vasca, che altrove poteva essere davvero di una banalità sconcertante, qui è invece bella, sensibile come deve e dura come si conviene. Il loro rapporto, nonostante non sia recitato alla grande, lo stesso ha poco delle convenzioni del cinema e tutto di quell’atteggiamento da animali spaventati che i personaggi si portano appresso.

Peccato che il film non sia tutto su quella linea ma prediliga un’impossibile aria meditativa.

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