Fino all'ultimo indizio, la recensione

Fino all'ultimo indizio di John Lee Hancock è un convincente thriller, ma l'incredibile assonanza con Se7en di David Fincher gli fa scontare, suo malgrado, la pena della poca originalità.

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Fino all’ultimo indizio, la recensione

A volte il tempo gioca brutti scherzi.

Per esempio, può capitare di trovarsi nel 2021 davanti a Fino all’ultimo indizio di John Lee Hancock con la convinzione che questo abbia preso qualsiasi cosa da Se7en di David Fincher - salvo poi scoprire che il primo, al contrario, è stato scritto nel 1993, due anni prima di quello che invece è poi diventato un film decisivo nel traghettare il thriller e il poliziesco verso una nuova epoca cinematografica. Se l’incredibile somiglianza tra i due film può inizialmente sorprendere ed incuriosire, mettendo da parte l’ironia ciò che qui vale la pena osservare è quanto Fino all’ultimo indizio sia, per questo motivo, ormai irrimediabilmente compromesso dal suo tempismo, apparendo oggi come un film non abbastanza capace di sorprendere o stupire come avrebbe potuto fare nei novanta. Ciò, tuttavia, non toglie nulla alla grande capacità registica di Hancock, capace di costruire un thriller ad alto tasso ansiogeno, forte di una tensione epidermica, che trascina senza sosta fino all’agognato epilogo.

Certo, la domanda rimane e sarà sempre insoluta: chissà come sarebbe andata se Hancock fosse arrivato prima?

Le somiglianze, si diceva, sono impressionanti. Fino all’ultimo indizio parla infatti di un tormentato vice-sceriffo, Joe Deacon (Denzel Washington), che dopo aver perso la testa per un crimine irrisolto ed essere stato allontanato dalla omicidi, a distanza di anni ritrova quello stesso oscuro passato in un nuovo caso. Affiancatosi al nuovo detective capo Jimmy Baxter (Rami Malek), insieme a lui comincia ad indagare su un imprendibile serial killer che sta uccidendo diverse donne nell’area di Los Angeles. Ma nessun dettaglio riesce ad incastrarlo.

A un livello più superficiale e sensoriale Fino all’ultimo indizio è, sicuramente, un ottimo film: ben diretto, ben fotografato, con ottime musiche di Thomas Newman. John Lee Hancock è qui riuscito a costruire con una pazienza meticolosa e un occhio attento un crime che, scena dopo scena, procede secondo un deciso crescendo, calando al contempo lo spettatore nelle atmosfere di subbuglio psicologico e criminale di una Los Angeles quasi senza tempo, più da fiction hard boiled che da realismo suburbano. Tuttavia, come piace dire ai protagonisti del film, se il diavolo sta nei dettagli bisogna scoprire tutte le carte in tavola e rimproverare a Hancock l’unica cosa di cui può essere davvero responsabile: la scarsa rilevanza data al personaggio di Jimmy, vero luogo d’interesse per la costruzione del nucleo tematico, qui fondamentale, e che invece viene completamente lasciato a sé stesso, appena abbozzato.

Forse è per la recitazione di Rami Malek, che sembra sempre in difetto rispetto alla performance incredibile di Jared Leto - qui nei panni a lui piuttosto comodi dello psicopatico creepy - e a quella bilanciata di Denzel Washington; forse, invece, è proprio un problema di scrittura, ma certo è che se Hancock cerca in ogni modo di farci risuonare tutta la vicenda nella psicologia del poliziotto più che in quella del criminale (come appunto aveva fatto Fincher) quello che invece qui ci rimane in mano, alla fine della festa, è uno strano vuoto, l’impressione che manchi qualcosa di più. Ma forse, chissà, si tratta solo di dettagli.

Cosa ne dite della nostra recensione di Fino all'ultimo indizio, il film disponibile da domani in digital? Scrivetelo nei commenti dopo aver visto il film!

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