Fingernails, la recensione
Dentro Fingernails si agitano i medesimi paradossi dei film di Lanthimos, ma non arrivando alle estreme conseguenze, non trovano un senso
La recensione di Fingernails, il film di Christos Nikou, disponibile su Apple TV+ dal 4 novembre
Il punto è sempre stimolare un problema e obbligare i personaggi a confrontarsi con esso. Nella trama il sistema aiuta le persone a sapere se la loro relazione è quella giusta, cioè si appalta una parte del lavoro e dello stress sentimentale delle persone alla tecnologia. La protagonista lavora nella società che fa queste rilevazioni e che poi aiuta le persone nei rapporti di coppia, curandoli, ma ha problemi con il suo (anche se l’affinità è comprovata dal macchinario). L’incastro sta nel fatto che questa certezza tecnologica non fa che generare più dubbi in tutti quanti.
A cascata tutto in Fingernails è poco affilato. Questo è in definitiva un film su un personaggio che mentre ha una storia si innamora di un’altra persona, e vuole raccontare questo intreccio con la minuzia e il lento formarsi di un sentimento di serie come Normal People. Solo che Nikou non riesce mai a raccontare l’avvicinarsi e la tensione del desiderarsi. Fingernails è convinto di avere una storia molto tenera al centro ma sembra che solo Jessie Buckley si batta per avvicinarsi agli altri (Jeremy Allen White invece è completamente inutilizzato, un muro contro il quale far infrangere la protagonista e Riz Ahmed non coniuga come Buckley distanza e coinvolgimento), in una confezione che rimane freddissima, distante e incapace di rendere vivi i tumulti dei suoi personaggi. Il contrasto con un ambiente distaccato e gelico non accresce il calore di sentimenti soffocati, li tiene soffocati e basta. Così anche l’idea di fondo, cioè l’ossessione di avere una conferma esterna a ciò che ognuno dovrebbe fare la fatica di scoprire o sentire da sé, rimane un obiettivo mai conquistato.