Fingernails, la recensione

Dentro Fingernails si agitano i medesimi paradossi dei film di Lanthimos, ma non arrivando alle estreme conseguenze, non trovano un senso

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Fingernails, il film di Christos Nikou, disponibile su Apple TV+ dal 4 novembre

È impossibile non notare quanto sia diventato difficile girare e quindi farsi produrre un film che non contenga elementi di fantastico, anche nel mondo del cinema d’autore. Yorgos Lanthimos ha creato negli anni un suo ibrido, una sua maniera di infondere un impianto o anche solo spunti di fantastico in storie che hanno tutto del cinema d’autore. Christos Nikou, che è stato assistente alla regia di Lanthimos per Dogtooth, e il suo sceneggiatore Stavros Raptis si erano inseriti in quel tipo di sottogenere già con Apples e ora lo rifanno in Fingernails. Siamo in una specie di anni ‘90 distopici, con design della tecnologia retrodatato, in cui un macchinario tramite l’analisi di un’unghia intera (strappata con forza e dolore) può dare un responso sull’affinità di una coppia.

Il punto è sempre stimolare un problema e obbligare i personaggi a confrontarsi con esso. Nella trama il sistema aiuta le persone a sapere se la loro relazione è quella giusta, cioè si appalta una parte del lavoro e dello stress sentimentale delle persone alla tecnologia. La protagonista lavora nella società che fa queste rilevazioni e che poi aiuta le persone nei rapporti di coppia, curandoli, ma ha problemi con il suo (anche se l’affinità è comprovata dal macchinario). L’incastro sta nel fatto che questa certezza tecnologica non fa che generare più dubbi in tutti quanti.

Il problema di Fingernails, come già di Apples, è quanto ci metta a partire con la narrazione, vagando per tantissimo tempo senza una chiara direzione, preferendo una lunga illustrazione della sua ambientazione. Quando finalmente inizia a entrare nel vivo, e mettere in scena i suoi contrasti (dei quali i dubbi dati da un macchinario che dovrebbe fornire certezze è solo il primo) non va mai davvero a fondo con la sua natura paradossale, come invece sa fare Lanthimos, perdendo molto in efficacia. Siamo con la protagonista, stretta da due sentimenti che non dovrebbero coesistere secondo il macchinario (e invece…) ma è come se da un certo punto in poi la storia si normalizzasse invece di affermare a gran voce l’assurdo che la regge.

A cascata tutto in Fingernails è poco affilato. Questo è in definitiva un film su un personaggio che mentre ha una storia si innamora di un’altra persona, e vuole raccontare questo intreccio con la minuzia e il lento formarsi di un sentimento di serie come Normal People. Solo che Nikou non riesce mai a raccontare l’avvicinarsi e la tensione del desiderarsi. Fingernails è convinto di avere una storia molto tenera al centro ma sembra che solo Jessie Buckley si batta per avvicinarsi agli altri (Jeremy Allen White invece è completamente inutilizzato, un muro contro il quale far infrangere la protagonista e Riz Ahmed non coniuga come Buckley distanza e coinvolgimento), in una confezione che rimane freddissima, distante e incapace di rendere vivi i tumulti dei suoi personaggi. Il contrasto con un ambiente distaccato e gelico non accresce il calore di sentimenti soffocati, li tiene soffocati e basta. Così anche l’idea di fondo, cioè l’ossessione di avere una conferma esterna a ciò che ognuno dovrebbe fare la fatica di scoprire o sentire da sé, rimane un obiettivo mai conquistato.

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