Finalement, la recensione: l'Amarcord musicale di Lelouch

La recensione di Finalement, il nuovo film di Claude Lelouch presentato a Venezia 81

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La prima scena di Finalement mostra il protagonista (Kad Merad) ridere alle battute di un comico che si fa la domanda: che farei se sapessi che la fine del mondo è vicina? La risposta (nello spettacolo e nel film di Lelouch) è "qualsiasi cosa, con libertà sfrenata". Bastano i dieci minuti successivi per capire che il film ha manomesso i freni a tutto: immaginazione, morale, ragione, racconto. Per tutta questa lunga sequenza non si capisce (ridendo molto) se il nostro eroe sia un prete accusato di stupro, un avvocato che ha perso la vocazione, un trombettista dilettante o un assassino. Poi capiamo che è vera la seconda - le altre personalità sono frutto della sua deformazione professionale che lo porta a immedesimarsi sempre in chi difende. Ma non per questo il film si razionalizza: Finalement è un'opera fieramente surrealista, dove a contare non è un'idea di trama ma l'euforia di inventarsi a ogni secondo le proprie regole.

Di questa libertà Lelouch fa innanzitutto - a 86 anni - un'originale meditazione sulla vecchiaia. Il protagonista è un uomo che per una degenerazione cerebrale sta perdendo tutti i suoi filtri: la "fine" del titolo che libera da ogni regola è in primis proprio la morte, e la libertà che regala è una benedizione e una maledizione insieme. Lelouch lo filma mentre invade allegramente le proprietà e la privacy altrui, e grazie a una spiccata dimensione melò/musical racconta la bellezza di un'emotività scatenata, la "follia delle emozioni" com'è chiamata la condizione del protagonista. Ma in questo inno alla vita c'è un lato più oscuro, fatto di rapporti personali che degradano e improvvise esplosioni di violenza. È il tipo di film in cui a una scena comica o romantica può seguirne una brutale, un sogno che minaccia continuamente di diventare incubo.

In gran parte poi Finalement è un film sul cinema. Con la scusa di un'immaginazione impazzita Lelouch può sovrapporre, citando e rielaborando, una quantità incredibile di film. Sia suoi - a partire da Un uomo, una donna - in un'operazione nostalgica di sapore felliniano che vede l'autore circondato dalle sue creazioni passate; sia di altri, con particolare amore per il melodramma americano (Titanic, Via col vento, I ponti di Madison County, In mezzo scorre il fiume). Il rischio di ripetersi e risultare stucchevole c'è, ma se ci si abbandona il risultato è un piacevole flusso di coscienza cinefilo, che si bea della possibilità di inventare/reinventare cinema scena dopo scena, se necessario mettendosi a cantare. Ormai nessuno può impedire al nostro di esprimersi, neanche un clima intollerante verso rappresentazioni "immorali" (si parla anche di cancel culture). Toccherà a lui mettere un freno a quella libertà per il bene di chi ama. Finalement.

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