Finale a sorpresa - Official competition, la recensione | Venezia 78

Con un parco attori di livello altissimo Mariano Cohn e Gaston Duprat confezionano con Finale a sorpresa una commedia come nessun'altra

Critico e giornalista cinematografico


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Finale a sorpresa - official competition, la recensione | Venezia 78

Sarebbe bellissimo un libro che tracciasse la storia dell’umorismo la cinema tramite gli oggetti. Dalla lotta contro quelli che non funzionano mai del cinema muto a quelli animati e perfidi dei primi film di animazione, all’uso ironico di scenografie esagerate negli anni ‘60 fino alla maniera incredibile in cui Jackie Chan li coinvolge nelle coreografie e li usa per sbalordire e divertire. In un libro del genere l’ultimo capitolo sarebbe dedicato a Mariano Cohn e Gaston Duprat, il cui umorismo devastante sfrutta sempre gli oggetti ma senza bisogno di farli interagire con attori e attrici. A loro basta posizionarli, basta presentarli, anche tenerli anche nello sfondo e lo stesso possono far morire dal ridere.

È così per l’oggetto più grande del film, un masso che incombe sui protagonisti, oppure per un copione tutto pasticciato dalla regista interpretata da Penelope Cruz (sulle cui pagine sono attaccati con lo scotch dei mozziconi di sigaretta come se fossero cruciali per la sua interpretazione) e tanti altri. È la presenza e quello che ci dicono su chi li ha scelti e messi lì a scatenare una risata che arriva da zone del cervello che solitamente l’umorismo non attiva. Competencia oficial è una bomba. Come sempre per Cohn e Duprat, un film acutissimo in cui due attori agli antipodi e una regista star del cinema d’autore sono ingaggiati per un film da un grande industriale della farmacia che vuole essere ricordato magnanimamente. Assistiamo alla preparazione mentre gli ego di queste tre persone confliggono. Uno studio umano eccezionale tramite l’enfatizzazione dei dettagli.

Perché come sempre Cohn e Duprat nei loro film non cercano il demenziale o il paradossale ma riscrivono situazioni plausibili e reali, riuscendo ad usare la messa in scena per porre l’enfasi sull’unico dettaglio che, ingrandito, svela il ridicolo umano. Ogni volta. È una capacità sorprendente grazie alla quale anche solo il lieve scricchiolio di una gru, posizionato ed enfatizzato a dovere, può far morire dal ridere. Questa è la vera arte del cinema ai massimi livelli: l’uso completo di tutto gli attrezzi a disposizione di un regista in modo che un piccolo cambio nelle dosi rispetto al solito sconvolga tutto e scateni nella testa dello spettatore la risata e sblocchi un nuovo livello di senso.
Con la stessa identica trama e forse anche gli stessi dialoghi di Competencia oficial si potrebbe girare un dramma molto serio. Nelle loro mani invece è una black comedy in cui l’animo umano svela piccolezze che riconosciamo immediatamente.

E non a caso il territorio in cui si svolge la storia è la produzione intellettuale, l’ambito le cui contraddizioni esaltano la coppia argentina (L’artista, Il mio capolavoro e Il cittadino illustre avevano tutti a che fare con degli artisti), il punto in cui gli ego deformano tutto, la falsità regna e la stupidità umana emerge. Stavolta finalmente hanno un cast di rilievo su cui troneggia Penelope Cruz (ma Antonio Banderas la segue da vicinissimo), totalmente fuori dalla sua comfort zone nei panni di una donna pretenziosa, dotata di una femminilità cui lei non è abituata, non accogliente ma molto cool e alla moda, non classica ma ipermoderna. È sensuale ma in modi completamente diversi e quando per una sola scena, per un attimo diventa sensuale come al solito, come sia abituati, per calmare e attirare Banderas, riconosciamo che quella sì e la sua comfort zone in cui è eccezionale. Ma è un attimo e poi torna a fare faville con altri toni.

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