Final Space (terza stagione): la recensione

All'ultima stagione Final Space cambia pelle poco a poco, diventa sempre meno scanzonato e sempre più tragico

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Final Space (terza stagione): la recensione

Final Space finisce qui, ed è un peccato. La serie di Olan Rogers andata in onda per tre stagioni, non senza scossoni, è stata cancellata e non proseguirà. E va detto che è un peccato anche alla luce del finale apertissimo che lasciano queste tredici e ultime puntate. Giudicate di per sé, che è anche la cosa giusta da fare, sono una buona prosecuzione di quanto si era visto in precedenza. Final Space cambia pelle poco a poco, diventa sempre meno scanzonato e sempre più tragico. Il tono si fa spesso cupo e melodrammatico, magari senza riuscire ad amalgamare del tutto le sue componenti, ma con una intensità e un ritmo tali da compensare tutte le mancanze.

Non sarà facile ricordare tutti i dettagli della stagione precedente (si consiglia un riassunto) anche perché Final Space non si perde in chiacchiere e parte a gran velocità. Ci sono Gary, Quinn, Hue, Gatto Junior, Ash e tanti altri personaggi – probabilmente troppi – che sono ancora impegnati a combattere contro il Lord Comandante ma soprattutto contro il risveglio di Invictus. Alla base c'è sempre l'idea di dover proteggere il tenero Mooncake, ma questa stagione espande il dramma della vicenda e diventa veicolo per raccontare i non detti e i rancori tra i personaggi.

Final Space è sempre stato molto derivativo. Addirittura all'inizio c'era molto Futurama, che è una serie che oggi sembra lontanissima da quel che è diventato lo show. Ormai, per dirne una, sembra essere subentrato nei riferimenti Steven Universe, con quell'idea di famiglia allargata, lacrima facile e tanti drammi da risolvere. Final Space percorre quelle strade, non del tutto originali, e spesso dallo svolgimento banale, che vedono un personaggio fraintendere una scelta altrui e reagire malissimo, oppure un segreto tenuto tale per troppo tempo, finché non verrà scoperto nel momento meno opportuno.

È una serie così, forse imperfetta per troppa passione. Ma di quella passione ce n'è – o ce n'era – davvero tanta nella serie di Olan Rogers. Che accumula drammi su drammi, svolte negative senza sosta, ma torna sempre dai suoi personaggi, a quella fiducia che in un modo o nell'altro proveranno ad andare avanti senza arrendersi. La serie gioca con varie soluzioni: esseri multidimensionali, alieni, altre linee temporali, passaggi nell'universo. È tutto affrettato e caotico, ma c'è sempre un sincero affetto per i protagonisti e la voglia tangibile di raccontare una storia per passione. La serie ne guadagna in ogni momento, lo spettatore riceve la spinta per andare avanti – se non altro per conoscere la risoluzione di certi drammi – e il tono si fa sempre più cupo. L'ironia è fuori luogo ormai, e quando arriva è fastidiosa.

Final Space sembra incerto sulla gestione di tutte queste sottotrame, e lo si vedrà in particolare nelle ultime due puntate in cui succede praticamente di tutto. Eppure, proprio questo cliffhanger così caotico e che ci lascia molto incerti su quello che sarebbe stato il futuro della serie, avrebbe meritato un seguito.

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